Baustelle, Raccontiamo la nostra storia dal vivo, e nel 2016 il nuovo album

Baustelle: "Raccontiamo la nostra storia dal vivo, e nel 2016 il nuovo album”

Baustelle: "Raccontiamo la nostra storia dal vivo, e nel 2016 il nuovo album”


A due anni dall'ultimo album di inediti "Fantasma", la band guidata da Francesco Bianconi pubblica la prima raccolta di brani dal vivo, "Roma Live!"

Era il 2000 quando degli acerbi, ma già risoluti Baustelle esordivano con “Il Sussidiario Illustrato della Giovinezza” che si sarebbe poi rivelato come uno dei più importanti album dell’indie italiano. Oggi, dopo quindici anni in cui hanno raccontato adolescenza, amori, ultimi, esistenza, lo scorrere del tempo, Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini decidono di ripercorrere il film della propria vita su un palco.

“Roma Live!” è il vostro primo album dal vivo. Molti vi hanno chiesto il perché della scelta di fare un album live, forse è perché, semplicemente, siete arrivati a un punto tale da poterlo fare. Siete nella posizione giusta.

Esatto. Alla fine arriva un punto in cui puoi anche permetterti di farlo, il disco live lo fai quando i tuoi concerti, oltre ad essere una promozione per il disco appena uscito, sono anche la possibilità di far sentire canzoni del passato in vesti nuove. Arrivati a questo punto abbiamo una storia, e un disco live è un modo per raccontarla, comprimerla, sintetizzarla e renderla disponibile a tutti. In più aggiungi che l’ultima tournée si prestava molto ad essere fissata nel tempo, perché erano concerti speciali, c’era l’orchestra sinfonica, tutte cose che sono dei plus in un eventuale disco.


Anche da un punto di vista tecnico è indubbio che negli anni siate migliorati esponenzialmente.
È anche quello, certo, è un dire: “Guardate, siamo cresciuti!”. Per fare un disco live devi aver fatto anche dei buoni concerti ed avere la sfrontatezza nei confronti del mondo per mostrarne la fotografia.


La scelta è caduta sui concerti di Roma solo perché è la città dove avete suonato con tutti e tre i tipi di formazione (accompagnati da orchestra sinfonica, solo quartetto d’archi e solo sezione fiati ndr) o anche perché, va bene la Toscana ed essere romantici a Milano, forse Roma è la città che più esprime l’estetica dei Baustelle, tra cinema e decadenza?
Abbiamo scelto Roma, e Roma è finita dentro il disco per questo motivo, ma anche perché semplicemente a Roma, riascoltando le registrazioni, innanzitutto c’erano tutte le tipologie di concerto, l’unico posto, e poi erano particolarmente ben eseguite. Il caso ha voluto che fosse proprio Roma.


C’è qualche canzone che è arrivata al ballottaggio per essere inserita nel disco ed è stata poi scalzata all’ultimo minuto?
I Provinciali, ci sarebbe piaciuto inserirla, però succedono delle cose strane quando riascolti i live e capisci che l’ascolto a un concerto è una cosa, essere spettatore di un concerto rock è una cosa, ed ascoltare quello stesso concerto, quella stessa canzone, a casa nel tuo impianto hi-fi, ammesso che lo si faccia ancora, ne è un’altra. Ad esempio dal vivo facciamo I Provinciali a una velocità maggiore di BPM, e funziona, però riascoltata con calma e avulsa dalla situazione di concerto ci sembrava troppo veloce. Anche La Guerra è Finita, però quella doveva esserci, quindi la penalizzata di questa scaletta, anche se ci sarebbe piaciuto ci fosse perché è un brano molto rappresentativo dei Baustelle, una canzone alla quale vogliamo particolarmente bene, è I Provinciali, ma era una versione troppo “nervosa”.


Avete un disco live che preferite o avete preso a “modello”? Gli album live sono sempre molto vari sia nella qualità che nella forma.
Certo, dipende anche dall’epoca in cui sono registrati. Il mio disco live preferito degli anni ’60 è “Live At Apollo” di James Brown, una pietra miliare, forse degli anni ’70 “The Song Remains The Same” dei Led Zeppelin che si apriva con Rock’n’Roll e Celebration Day, una delle robe più potenti e devastanti mai ascoltate. Tra le cose più recenti sicuramente “Kicking Television: Live In Chicago” dei Wilco.


È stato difficile riarrangiare in chiave orchestrale i vostri pezzi vecchi?
No, difficile no, è una parte divertente del lavoro. Non devi scrivere una canzone nuova, ma quando fai un nuovo arrangiamento un po’ il gusto della creazione ritorna.


In “Roma Live!” c’è anche il riadattamento di A Lady Of A Certain Age di The Divine Comedy, diventata Signora Ricca Di Una Certa Età e Avec Le Temps di Léo Ferré, Col Tempo. Il vostro lavoro in questo caso è più simile a quello fatto da Scott Walker con Jacqus Brel o,  recentemente, da De Gregori con Bob Dylan, più che a certe cover beat degli anni’ 60 che dei pezzi originali mantenevano solo la musica cambiando totalmente il senso del brano. Non è proprio scontato.
È un atto di amore e di rispetto, non è facile perché gli adattamenti in italiano di cose in altre lingue sono molto difficili. Spesso sei costretto per esigenze di resa sonora ad allontanarti dalla versione originale, e da un lato preferisco quando è così, piuttosto che essere costretto a dire le stesse cose, spesso con risultati comici, proprio per corrispondenze tra l’originale e la lingua italiana. Sono molto soddisfatto del lavoro che abbiamo fatto, in particolare per Signora Ricca di Una Certa Età  perché rende più o meno la stessa storia e anche con un bel suono, non c’è niente che suoni strano o ostico, l’altra l’ha fatta Enrico Medail, una vecchia traduzione in italiano di Col Tempo che poi è rimasta quella tradizionale, molto ben fatta. Tra l’altro tradurre Leo Ferré non è compito facile, è stato bravo.


Inevitabile è la domanda sui fatti di Parigi, in particolare del massacro del Bataclan durante il concerto degli Eagles Of Death Metal. Come l’avete vissuta?
È stata una cosa sconvolgente, io mi son sentito così solo dopo l’11 settembre, più o meno stesso tipo di sensazione. In questo caso ancora più vicino, perché pensi potrebbe succedere anche un tuo concerto. La cosa angosciosa e l’essenza del terrorismo è proprio il fatto che colpisca in maniera abbastanza slegata, può succedere ovunque, è questo suo carattere di guerriglia improvvisa. Una guerra in senso classico è più “rassicurante”, sai dove si combatte, sai dov’è il nemico, questo è destabilizzante, è l’atomizzazione della guerra che entra in piccole particelle nella vita quotidiana. Il “problema” è la mancanza di veri bersagli e si spara a caso solo per praticare il terrore puro, è inquietante. Anche i rimedi, ahimè. Bisogna mettere in atto cose per cui servono tanti anni e non i bombardamenti mirati, che sono delle esibizioni di forza, per quanto concepibili mettendosi nei panni della Nazione francese. Questa dimostrazione di forza e di reazione non risolve nulla.


La reazione che deve avere la musica quale dovrebbe essere? Prendiamo ad esempio i Foo Fighters, tra l’altro molto amici degli Eagles Of Death Metal, che hanno annullato immediatamente il tour: c’è chi dice che hanno fatto bene, chi dice che avrebbero dovuto suonare comunque per non darla vinta alla paura.
Va lasciato alla libera coscienza. Voglio dire, muore un mio amico, succede una cosa a un amico, se  voglio interrompere il concerto lo faccio, senza stare a pensare a quello che diranno i media. Magari sì, è sbagliato da un punto di vista, ma magari è giusto per la coscienza personale, per il sentimento intimo di Dave Grohl che decide di manifestare il proprio lutto in questo modo. Poi ai fini del “ah, ma bisogna continuare a uscire di casa”, ok. Però chi se ne frega? Alla fine il passo fra questo e la retorica  è brevissimo, per cui rispetto. Lui ha deciso di annullare il tour, e se ha deciso così va bene, non credo che ci sia una regola. Non è che se succede una cosa del genere allora coalizziamoci tutti per fare concerti in tutti i locali di Parigi, boh, mi sembrano operazioni. Bisogna rispettare anche la naturale inclinazione al silenzio, talvolta, dopo cose di questa gravità, quindi se uno si sente di tacere o di interrompere il tour lo deve fare.


Francesco, hai collaborato con un po’ di persone da Eros Ramazzotti e Bobo Rondelli ad artisti relativamente nuovi come Dimartino, e ci sono delle tue foto con Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti, state facendo qualcosa insieme? Cosa ne pensi delle nuove leve?
Con Tommaso è per divertimento, scriviamo ma non c’è un progetto definito. Sono bravi, altrimenti non avrei mai collaborato con loro. Non faccio mai niente per forza, qualsiasi tipo di collaborazione come autore la faccio con persone dalle quali, in qualche modo, sono attratto da qualcosa dell’altro. I Thegiornalisti ricordano un po’ il lato anni ’80 dei Baustelle, anni ’80 fatti bene.


Ora facciamo fare la propria vita discografica a “Roma Live!”, ma avete intenzione di iniziare a lavorare presto ai nuovi inediti?
Sì, certo. L’album live va da solo senza bisogno di troppi accompagnamenti, anzi l’uscita di un disco live è il momento giusto per poter poi lavorare a quello di inediti.


Leggevo che volete discostarvi dai suoni del precedente “Fantasma” (ultimo album di inediti del 2013 ndr). C’è qualcosa che a livello musicale vorreste fare e che non avete mai fatto nella vostra produzione?
Più che altro continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto, sebbene con sfaccettature diverse, ovvero cose nella direzione del non sentito. Sento cose, specialmente quelle cosiddette pop, che sono molto omologate a livello di suono, io vorrei fare un disco pop che però non si sia mai sentito, o perlomeno completamente diverso, proprio dal punto di vista di suono, non solo di scrittura o composizione. Trovo tutto un po’ confezionato e plastificato, se fossero solo due casi, se ci fosse la plastica, ma anche l’alluminio, l’acciaio, il bronzo, nella musica pop, sarebbe un conto. Quello che sento è tutto monomaterico, forse non dipende solo dagli artisti, ma di qualcosa che succede dopo, o dal fatto che gli artisti italiani, a differenza degli americani e gli inglesi, non si preoccupano spesso di quello che accade dopo la scrittura, dal suono, al missaggio. Non che debbano mixare loro, ma dovrebbero partecipare di più, anche all’estetica, alla copertina, l’immagine. In Italia sembra sia tutto su un modello unico.


Però in Italia, a differenza dei Paesi anglosassoni, non c’è forse anche troppo una separazione in compartimenti stagni tra mondo mainstream e alternativo? Una soluzione a molte cose non sarebbe forse smettere di guardare l’altro con diffidenza?
Incrociare i mondi è pericoloso, non significa che tu debba adeguarti al best seller, cosa che vedo adesso nel pop. C’è un modello che funziona e tutti si adeguano, magari indie compresi, e questo è sbagliato. Incrociare i due mondi non significa che uno debba perdere la propria identità per leggi di mercato. La diffidenza a priori è sbagliata, noi non l’abbiamo mai avuta, ma sono il primo a bacchettarti se  tu alternativo, giovane, modaiolo, poi mi fai il suono che fanno tutti, ti si sgama subito, e ce ne sono. Allora preferisco il modello originale.


Per chiudere, possiamo dare una data per il nuovo album? Pensate di pubblicarlo entro il 2016?
Non possiamo ovviamente azzardare una data certa ma, sì, diciamo fine 2016.


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