Rapito di Marco Bellocchio: Il fascino perverso del potere
26 maggio 2023, ore 13:00 , agg. alle 18:31
È in sala l'ultima pellicola del regista che corre per vincere la Palma d'oro al Festival di Cannes 2023
Un potere squallido che schiaccia gli individui e li piega ai propri fini. Una sete di controllo e coercizione che arriva fino ad annientare psicologicamente le persone. Marco Bellocchio non è nuovo a trattare simili tematiche nel suo cinema. Lo ha fatto con toni più espliciti e altri un pò più sfumati, ma ha saputo raccontare sempre con grande lucidità l'eterna lotta tra oppressi e oppressori. Una tematica che torna con forza anche in "Rapito", la sua ultima fatica cinematografica, presentata alla 76esima edizione del Festival di Cannes e uscita nelle sale italiane lo scorso 25 maggio.
Questa volta il potere viene declinato attraverso l'assolutismo dello Stato Pontificio, che esercita la sua forza su un'umile famiglia ebrea, "colpevole" solo di non essere cristiana.
Siamo nel 1858 alle soglie di un processo di unità d'Italia che tarda ad arrivare. La sera del 23 giugno, a Bologna, la Gendarmeria dello Stato Pontificio si presenta alla porta della famiglia Mortara, di origine ebraica, per prelevare il sesto dei loro otto figli, Edgardo, di appena sei anni, e trasportarlo a Roma per essere allevato dalla Chiesa. I rappresentanti ecclesiastici avevano riferito che una cameriera cattolica della famiglia Mortara, qualche anno prima, aveva battezzato segretamente il piccolo Edgardo durante una malattia, per salvare la sua anima qualora fosse morto. Ma le leggi dello Stato Pontificio, all'epoca, non consentivano che un bimbo cristiano venisse allevato da una famiglia ebrea. E quindi, per volere del Papa Re, Edgardo viene costretto a crescere sotto la cupola di San Pietro, nel dogma del cattolicesimo. La notizia corre veloce e mentre i genitori tentano manovre disperate per riavere il figlio, nel paese cresce un moto di insoddisfazione nei confronti del potere papale.
UN CINEMA COLTO PER TUTTI
Asciutto, raffinato e spietato.
Rapito è un racconto urgente, che mette in scena una storia passata con la quale fare i conti. Una storia maneggiata con tutta la cura di un maestro dell'arte cinematografica, che non smette mai di sorprendere. Un cinema d'autore, colto, intelligente e intellettualmente onesto che però non si chiude in sé stesso, ma anzi riesce benissimo ad essere popolare e per tutti.
Bellocchio si nutre di un cast in stato di grazia, dove si fa a gara a chi è più bravo. Svetta su tutti Barbara Ronchi, fresca della vittoria come miglior attrice ai David di Donatello, che crea un misto di rabbia e dolore così potente da far venire i brividi. Ma come non citare anche il Papa Pio IX di Paolo Pierobon, con il suo potere che sembra corroderlo dall'interno, e Fabrizio Gifuni ancora ottimo nei panni di Pier Gaetano Feletti.
La pellicola procede spedita con un ritmo sostenuto che non si inceppa mai. Immagini sublimi che circondano questo racconto così disumano e feroce. Bellocchio inquadra il Risorgimento ispirandosi alla tradizione letteraria dei vedutisti italiani, mostrando questi scorci di Roma e di Bologna come se li avesse dipinti con l'acquerello.
Il regista si dimostra un perfetto direttore d'orchestra, in grado di gestire con cura e intelligenza il linguaggio filmico. Si pensi all'uso del montaggio parallelo nella sequenza dove la cresima e il processo si alternano provocatoriamente, un pò come fece Coppola nel finale del suo Padrino dove si alternava un battesimo con una serie di omicidi.
UN FALLIMENTO PER UNA VITTORIA PIÙ GRANDE
Rapito è la storia di una sconfitta ma allo stesso tempo di una vittoria. Infatti sebbene il caso Mortara non abbia un lieto fine, Bellocchio ci mostra come l'intera vicenda abbia fatto da detonatore per dare inizio ad un processo storico d'indipendenza dal potere assoluto dello Stato Pontificio. La questione fu utilizzata dai sostenitori del Risorgimento, il movimento per l’unificazione dell’Italia, per mettere in discussione la legittimità del governo papale. Ma soprattutto la crescente pressione internazionale e le tensioni interne contribuirono alla caduta degli Stati Pontifici e all’annessione di Roma all’Italia nel 1870.
CANNES 2023, IL TEMPO CHE AVANZA
Mentre Bellocchio è in concorso a Cannes e tenta di aggiudicarsi qualche premio, la 76esima edizione della kermesse francese si avvicina alla conclusione. Riflettendo su alcuni film che sono stati presentati, sembra che il file rouge di quest'anno sia stato "il tempo". Da una parte Indiana Jones e il quadrante del destino che tematizza proprio il tempo nella narrazione stessa, come ostacolo da superare per un eroe al tramonto che combatte prima di tutto con un'età che avanza. Poi c'è un Martin Scorsese malinconico, che ammette di voler fare ancora tanto per l'arte del cinema ma di non avere più tanto tempo davanti a sè. E infine c'è lui, il nostro Bellocchio che nonostante i suoi 83 anni, non sembra essere scalfito dal tempo che passa, vivendo una nuova giovinezza artistica. Per il nostro regista, il tempo è un prezioso alleato perché sembra essere sinonimo di saggezza e bravura.