Venezia 80, Il male non esiste di Ryusuke Hamaguchi. Verso un cinema ecologista

Venezia 80, Il male non esiste di Ryusuke Hamaguchi. Verso un cinema ecologista

Venezia 80, Il male non esiste di Ryusuke Hamaguchi. Verso un cinema ecologista Photo Credit: Agenzia Fotogramma.it


Dopo aver vinto l’Oscar con Drive My car, il regista giapponese corre per aggiudicarsi un premio alla Mostra del cinema

Hamaguchi lo avevamo già conosciuto qualche anno fa, quando agli Oscar 2022 strappò la statuetta come miglior film straniero a Paolo Sorrentino e al suo E’ stata la mano di Dio. Irruppe sulla scena con Drive My car, una pellicola imponente che lasciò tutti abbastanza sorpresi. E come spesso accade, l’autore giapponese finì sotto i riflettori assieme alla sua filmografia passata, che d’improvviso venne rivalutata. In questa 80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, presenta la sua nuova fatica cinematografica dal titolo Il male non esiste. 

LA TRAMA DEL FILM

Takumi e la figlia Hana vivono nel villaggio vicino Tokyo. Come altre generazioni prima di loro, conducono una vita modesta assecondando i cicli e l’ordine della natura. Un giorno, gli abitanti del villaggio vengono a conoscenza del progetto di costruire, vicino alla casa di Takumi, un glamping, inteso a offrire ai residenti delle città una piacevole fonte di “evasione” nella natura. Quando due funzionari di Tokio giungono al villaggio per tenere un incontro, diventa chiaro che il progetto avrà un impatto negativo sulla rete idrica locale e ciò causa il malcontento generale. Le intenzioni contraddittorie dell’agenzia mettono in pericolo sia l’equilibrio ecologico dell’altopiano sia lo stile di vita degli abitanti, con profonde ripercussioni sulla vita di Takumi.


GRANDE PADRONANZA DELLA FORMA

Il male non esiste, ma forse neanche il bene, almeno come lo intendiamo noi. La pellicola cerca di superare la dottrina manicheista di giusto e sbagliato, celebrando la natura in tutta la sua magnificenza e la sua ambiguità. I personaggi vengono letteralmente fagocitati nei campi lunghissimi, tanto da essere quasi inghiottiti dai paesaggi stessi. Inquadrature lente e inesorabili che privilegiano proprio la natura, quasi a volerci far affezionare ad ogni singolo ramo, ruscello o foglia presente in questo mondo bucolico. Tutto è ragionato e calcolato nei minimi dettagli, tutto confluisce nel senso profondo dell'opera e soprattutto la grande padronanza del linguaggio filmico enfatizza ogni significato.

Un dramma che cresce piano piano e che scoppia letteralmente nel finale. L’ultima sequenza riesce a spiazzare, lasciando lo spettatore in balia delle domande e dei dubbi.



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