Quattro agenti dei servizi segreti egiziani verso il processo in Italia per l'omicidio di Giulio Regeni

Quattro agenti dei servizi segreti egiziani verso il processo in Italia per l'omicidio di Giulio Regeni

Quattro agenti dei servizi segreti egiziani verso il processo in Italia per l'omicidio di Giulio Regeni


Per i pubblici ministeri della Procura di Roma, che hanno chiuso le indagini prima del processo, lo studente italiano venne seviziato per nove giorni con lame e bastoni

Quattro 007 egiziani verso il processo in Italia

La Procura di Roma ha chiuso l'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, il dottorando dell'Università La Sapienza, torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Quattro agenti dei servizi segreti del Cairo rischiano il processo in Italia. Agli indagati il procuratore Michele Prestipino e il pubblico ministero Sergio Colaiocco contestano, a vario titolo, i reati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in lesioni personali e omicidio. Per un quinto 007 egiziano i pm di Roma hanno chiesto l'archiviazione. La chiusura delle indagini arriva a due anni dall'iscrizione sul registro degli indagati. 


Regeni torturato per giorni 

Giulio Regeni, prima di morire a causa delle lesioni riportate, ha subito per oltre nove giorni sevizie di ogni tipo e torture indicibili. Questa la ricostruzione fatta dalla Procura di Roma e contenuta nell'avviso di chiusura delle indagini. "Per motivi abietti e futili, ed abusando dei loro poteri, con crudeltà", è scritto nel documento dei pubblici ministeri, "i quattro indagati provocarono a Giulio Regeni lesioni gravissime e che, successivamente, hanno portato all'indebolimento e alla perdita definitiva di molti organi". Poi i pm scendono più nello specifico delle circostanze che hanno causato la morte del giovane. "Gli 007 egiziani hanno seviziato Regeni, causandogli acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni, con l'uso di lame e bastoni e prendendolo a calci e pugni sulla testa, sul volto e sulle gambe". Giulio Regeni venne torturato in una stanza, la numero "13", al primo piano di una villa che si trova nel centro del Cairo, dove venivano tenuti i cittadini stranieri sospettati, come nel caso di Giulio, di attività sovversive.


La famiglia ha chiesto il ritiro dell'ambasciatore italiano in Egitto

Paola Deffendi, madre di Giulio Regeni, dal momento in cui è stato trovato il corpo senza vita del figlio, ha iniziato una battaglia di civiltà per ottenere la verità su quanto accaduto e per portare alla luce eventuali responsabilità dell'Italia. In una conferenza stampa alla Camera, Paola Deffendi, ha affermato: "Nessuno avrebbe pensato di arrivare dove siamo oggi. È una tappa importante per la democrazia italiana e per l'Egitto. Niente ci ferma. La nostra lotta di famiglia è diventata una lotta di civiltà per i diritti umani, che è come se agisse Giulio. Giulio è diventato uno specchio che riflette in tutto il mondo come vengono violati i diritti umani, in Egitto, ogni giorno". "Chiediamo alla commissione parlamentare d'inchiesta sul rapimento, sulla tortura e sull'uccisione di Giulio Regeni", ha concluso la madre del ricercatore ucciso, "di fare chiarezza sulle responsabilità italiane". L'avvocato di famiglia, Alessandra Ballerini, infine, ha auspicato, fortemente, il richiamo dell'ambasciatore italiano in Egitto perché la ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni è stata messa in secondo piano rispetto alla normalizzazione dei rapporti tra Italia ed Egitto. 




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