Quirinale, la partita a scacchi per il dopo-Mattarella è cominciata con il fattore Giorgetti

Quirinale, la partita a scacchi per il dopo-Mattarella è cominciata con il fattore Giorgetti

Quirinale, la partita a scacchi per il dopo-Mattarella è cominciata con il fattore Giorgetti


Nella scia del partito pro Mario Draghi al Colle, che sta crescendo negli ultimi giorni, si piazza ora il ministro leghista. Che subordina in realtà l'ipotesi a piano B, preferendo che l’attuale Presidente si allunghi fino a fine legislatura nel 2023

La 'saga' sul Quirinale è già aperta nonostante manchino tre mesi al 3 febbraio, quando si concluderà il mandato di Sergio Mattarella. La contesa del resto è complessa, tra autocandidature più o meno esplicite, veleni e condizioni come il voto anticipato. Fatto sta che anche in questo fine settimana sono in scaletta diverse riunioni dedicate al capitolo-Colle.


Berlusconi

Chi si presenta ad Arcore in queste giornate si ritrova sul tavolo uno schema con i numeri parlamentari. Appunto per l’elezione quirinalizia. Il centrodestra non ha da solo i voti necessari: in effetti per realizzare il sogno del Cavaliere, la coalizione dovrebbe essere granitica - tutta, fino all'ultimo grande elettore - nonostante il voto segreto. In più servirebbero 54 voti "nuovi" da cercare tra i moderati o gli ex dei vari partiti. E alcuni numeri li ha elencati lo stesso Berlusconi a Vespa in occasione dell'uscita del suo nuovo libro: "Ci sono 290 deputati e senatori usciti dai gruppi parlamentari originari. In tanti mi sono amici". I fedelissimi del Cavaliere fanno i conti. L'auspicio è che i voti mancanti arrivino dai renziani e da una ventina di M5S ed ex. Che il Movimento 5 stelle possa indicare il nome del presidente azzurro è un'ipotesi non presa in considerazione dai ministri Di Maio e D'Incà, del resto la contrapposizione tra pentastellati e il presidente di Forza Italia è stata sempre netta.


Il M5S

Per l’ex premier Giuseppe Conte non sarà facile controllare i suoi a Palazzo Madama e anche a Montecitorio. Il Movimento 5 stelle dibatte tra chi vorrebbe che Mario Draghi restasse a Palazzo Chigi - tra questi anche la compagine governativa - e chi, invece, lo vedrebbe bene al Colle, tra questi lo stesso Conte. Ma nel gruppo grillino al Senato in tanti sarebbero pronti ad affossare nel voto segreto l'eventuale candidatura Draghi al Quirinale.


Il Carroccio

Nella scia del partito pro Mario Draghi al Colle che sta crescendo vistosamente negli ultimi giorni, si piazza ora Giancarlo Giorgetti. Il ministro leghista subordina in realtà l'ipotesi a piano B, preferendo che Sergio Mattarella si allunghi nel suo ruolo fino a fine legislatura, nel 2023. "Se questo non è possibile, va bene Draghi", ammette il capodelegazione della Lega. Ma va oltre, al limite della Costituzione. E nell'anticipazione dell'ultimo libro di Bruno Vespa, fa un doppio salto: se Draghi dovesse traslocare al Colle lasciando libero Palazzo Chigi, "potrebbe guidare il convoglio anche dal quirinale". Dunque annuncia senza timidezze: "Sarebbe un semipresidenzialismo de facto". Insomma, sembra ormai quasi sdoganato l'addio al voto anticipato. A invocarlo è rimasto soltanto il partito di Giorgia Meloni, che lo indica come "via maestra" e condizione per il sì a Draghi presidente della Repubblica.


Il semipresidenzialismo

Ma lo scenario prospettato da Giorgetti è di difficile realizzazione, non c'è spazio nell'attuale Costituzione per un semipresidenzialismo reale. Di fronte a un'eventuale candidatura di Draghi al Quirinale, l'esecutivo potrebbe andare avanti affidando ad esempio l'interim all'attuale ministro dell'Economia, Franco, oppure al 'decano' fra i ministri, cioè Renato Brunetta. Un altro modo per mostrare, soprattutto all'Europa, che l'Italia tiene una certa continuità istituzionale, proprio quando c'è da gestire i fondi del Recovery e le riforme collegate. Comunque, al di là della concretezza, la 'soluzione Giorgetti' gela gran parte della Lega. Nessun commento ufficiale, se non che è uno scenario prematuro, trapela dal partito. Laconico Roberto Calderoli: "Io aspetto febbraio". Apparentemente indifferenti gli altri partiti, per sminuire la proposta o irriderla. "Mi sembra surreale che un ministro dia una interpretazione tutta sua della nostra Carta Costituzionale", osserva Andrea Marcucci del Pd. Il suo segretario di partito ha chiesto più volte di non parlarne fino a fine anno. E infatti Enrico Letta tace, perché - riferiscono fonti del Nazareno - la scelta non può trasformarsi in un "risiko delle convenienze partigiane, dei partiti o dentro i partiti".



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