Bergamo, il direttore del Papa Giovanni XXIII: "Il nostro lavoro instancabile contro il coronavirus"

Bergamo, il direttore del Papa Giovanni XXIII: "Il nostro lavoro instancabile contro il coronavirus"

Bergamo, il direttore del Papa Giovanni XXIII: "Il nostro lavoro instancabile contro il coronavirus"


22 marzo 2020, ore 12:17 , agg. alle 13:31

Maria Beatrice Stasi: "Ieri cento persone in pronto soccorso, la giornata più nera. Ricordiamoci del lavoro del personale sanitario quando l'emergenza sarà finita"

“Al Papa Giovanni XXIII corriamo, siamo in anticipo di un’ora rispetto a ciò che può succedere. Abbiamo trasformato un grande ospedale di eccellenza in un centro Covid, con tutti gli infermieri e i medici in prima linea nella cura dei pazienti con il coronavirus”. E’ il bilancio di Maria Beatrice Stasi, direttore generale di un ospedale - quello di Bergamo - parte di un territorio di gran lunga tra i più colpiti in questa emergenza.

Duemila persone in trincea

Un ospedale, quello di Bergamo, che può contare sul lavoro di personale sanitario in prima linea grazie a una formazione interna di duemila persone. “Ci siamo organizzati riducendo nei limiti del possibile l’attività programmata – spiega Stasi –. Abbiamo ancora una quota di sale operatorie per gli interventi urgenti, i nostri reparti sono ancora operativi. Per il resto abbiamo trasformato buona parte dell’ospedale in struttura Covid. Dal lato dell’organizzazione, i tempi si allungano e il sistema è sempre più esausto”.

Il dolore delle immagini e il lavoro instancabile del personale sanitario

Bergamo è anche la città che negli scorsi giorni ha visto le immagini dei carri dell’Esercito con decine di salme a bordo. “In questo mese, lo dico da donna e da cittadina prima che da direttore, ho immagazzinato così tanto dolore che faccio fatica a contenerlo – continua Stasi –. Le immagini che abbiamo visto sono da stato di guerra. Ogni giorno raccolgo chiamate del mio personale provato: donne e uomini che raccontano scene esasperanti. La nostra funzione è anche quella di tenere insieme il gruppo, la squadra”. Una precisazione. “Il sistema sanitario sta dando il massimo, tutti devono contribuire stando a casa. Non potremo dimenticarci del lavoro dei sanitari a emergenza finita. Parliamo in molti casi di gente che guadagna 1600-1700 euro al mese e ora è lì con una tuta e con la mascherina per ore: loro devono avere il nostro plauso e il loro lavoro dovrà insegnare. Torneremo ad essere il grande Papa Giovanni XVIII che siamo stati nel tempo”.

Da ospedale a centro di gestione dell’emergenza 

Il passaggio da ospedale a centro di gestione dell’emergenza è un processo delicato: “Chiedere a medici che si occupano di altro di entrare nella filiera dell’urgenza non è semplice - ci conferma il direttore generale del Papa Giovanni XXIII -. E' per questo motivo che abbiamo organizzato un corso formativo quotidiano, anche con i medici militari inviati dalla Difesa. I nostri pneumologi, dopo il loro turno, si fermano due ore per fare formazione. Abbiamo ricevuto tanta solidarietà, a cominciare dalla donazione al nostro ospedale di dispositivi di protezione individuale". Non tutti i pazienti che entrano in pronto soccorso lo fanno per il coronavirus. “Ho notato che improvvisamente la quota di accessi si è ridotta: questo la dice lunga sui comportamenti del passato. Da sempre diciamo quanto sia importante non intasare il pronto soccorso”. 

"Ieri cento persone al pronto soccorso: la giornata peggiore"

"Ci occupiamo dei problemi passo dopo passo", ci racconta Stasi. Come è avvenuto nelle scorse ore. "Ieri pomeriggio, ad esempio, mi sono attaccata al telefono per trovare posti letto in cui trasferire pazienti in condizioni di media gravità per svuotare il pronto soccorso. La situazione era delicata: ieri qui sono arrivate cento persone, quasi tutte per coronavirus: è stata la giornata peggiore in assoluto dell’ultimo mese”.

Quelle richieste di rassicurazioni dei pazienti

Nello stato d’animo di chi arriva, prevale la paura. “I pazienti chiedono a noi una rassicurazione. Arrivano senza parenti, senza qualcuno che li possa confortare, qui in ospedale lavorano operatori capaci di donare parole di speranza a questi pazienti. Credo che quando tutto passerà, da queste situazioni avremo umanamente qualcosa da imparare. Intanto ce la mettiamo tutta”.


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