I dieci mesi che hanno sconvolto il calcio, domani sera torna Juventus-Inter, l' 8 marzo 2020 il derby d'Italia, prima gara a porte chiuse

Domani sera torna Juventus-Inter, il derby d'Italia, dieci mesi da quell'8 marzo che sconvolse il calcio

Domani sera torna Juventus-Inter, il derby d'Italia, dieci mesi da quell'8 marzo che sconvolse il calcio


16 gennaio 2021, ore 11:00
agg. 18 gennaio 2021, ore 15:04

I mesi più folli della Serie A tra stop, ripartenze, polemiche e covid

Da Juventus-Inter dell'8 marzo 2020 a Inter-Juventus di domenica prossima. Ci sono 10 mesi di stop, ripartenze, polemiche, casi di positivita', guarigioni, difficoltà, crisi e partite senza pubblico, dal derby d'Italia pre pandemia a quello di domenica prossima. Nonostante tutto, il calcio è sopravvissuto a 10 mesi di convivenza con il coronavirus. Ma lo ha fatto pagando un prezzo altissimo, come quello di tanti altri settori e da "prima cosa importante delle meno importanti", secondo la definizione di Arrigo Sacchi. E in un certo senso, per il calcio, tutto è cominciato da dallo Juve-Inter di 10 mesi fa.

Il derby d'Italia di un anno fa

Quella domenica, seconda di Quaresima, si gioca il recupero della 26/a giornata, rinviata di una settimana a causa dell'epidemia tra le polemiche. Mentre tutta Italia aspetta decisioni sul lockdown che incombe e i treni sono presi d'assalto, la lite tra i club di A è totale, tra calendario, date intasate, partiti contrapposti tra sostenitori del 'fermiamoci' e dello 'giochiamo', partite da recuperare e accuse reciproche dei tifosi, rinfocolate dall'ipotesi di giocare quella sfida storica il 13 maggio. E c'è chi avanza il sospetto che una quadratura non si trovi proprio perché di mezzo c'è Juve-Inter.

La decisione di giocare a porte chiuse

Alla fine la giornata è fissata all'8 marzo, data ultima del dpcm che impone le porte chiuse a quel momento: ma si gioca in uno Stadium vuoto, la sera, penultima gara prima del lockdown. Il 'derby d'Italia', vinto dai bianconeri 2-0, è a porte chiuse. Così come Sassuolo-Brescia il giorno dopo. Sono gli ultimi sussulti prima del blocco della Serie A, che la Federcalcio sancisce il 10 marzo. Ripartirà solo il 20 giugno, per concludersi il 2 agosto. Ma è tutto lo sport a fermarsi, in Europa come nel resto del mondo, perdendo - tra l'altro - le Olimpiadi di Tokyo e gli Europei di calcio. C'è una guerra da combattere, contro il misterioso Covid-19, virus che arriva da una lontana città cinese, Wuhan. L'8 marzo dello scorso anno l'Italia piangeva 133 decessi, che portavano il totale a 366. Mercoledì si è superata la soglia delle 80mila vittime. Che il coronavirus sia un'emergenza è chiaro fin da subito, ma per capirne la reale portata servirà tempo e tante vite.


La gara a San Siro tra Atalanta e Valencia

Altrimenti il 19 febbraio 2020, a San Siro, non andrebbe in scena Atalanta-Valencia di Champions. A Milano arrivano 50mila bergamaschi. La loro squadra vince 4-1 ed è l'ultima gioia sportiva per la città che presto sarà la più colpita dai lutti. Alcuni immunologi l'hanno definita la 'partita zero' per il contributo che, avrebbe dato alla diffusione del contagio quando ancora non era chiaro come fosse arrivato in Italia. Lo sport professionistico più popolare si è dibattuto tra la voglia di non fermarsi e la fretta di ripartire per non morire a sua volta. Condite da momenti di incomprensione con la politica, che spesso l'ha interpretate come una forma di insensibilità verso il dramma in corso. Per tornare a giocare ha appreso i severi protocolli sanitari condivisi con il CTS.


Come ha reagito il calcio al covid

Tamponi a ciclo continuo ed isolamento domiciliare dei positivi hanno aiutato il calcio a sopravvive all'assenza dei tifosi, alla fuga degli sponsor, alle richieste di sconti delle pay tv, alla convivenza forzata nelle 'bolle' sterili dei ritiri. Nel frattempo, però, centinaia di milioni di ricavi (circa 700 al 30 giugno 2020) si sono volatilizzati e il dibattito per un accordo sui tagli generalizzati agli stipendi - dopo quelli decisi singolarmente da alcune società - si è fatto sempre più pressante e difficile da rinviare. Sul campo, i protagonisti hanno dovuto imparare che anche allenarsi in gruppo era una conquista; che il momento più bello, quello del gol, non si poteva più festeggiare con abbracci collettivi, ma al massimo con un tocco di gomito. Nel silenzio degli stadi (tornati a popolarsi solo per un breve periodo con mille tifosi 'su invito') il pallone ha vissuto e vive una dimensione che gli è del tutto estranea, tra tifosi virtuali, sagome di cartone, applausi e boati finti, che non emozionano. Per questo non si è rassegnato all'assenza del pubblico, il tratto più evidente di questa diversità. Ma l'esplosione della seconda ondata, verso metà ottobre, ha troncato sul nascere ogni speranza di riapertura, seppure contingentata. Domani si gioca un altro derby d'Italia, il calcio non è più lo stesso e la fine del tunnel appare ancora lontana


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