L’angosciosa profezia di Rino Gaetano e il mistero mai chiarito sulla sua scomparsa, quarant'anni fa

L’angosciosa profezia di Rino Gaetano e il mistero mai chiarito sulla sua scomparsa, quarant'anni fa

L’angosciosa profezia di Rino Gaetano e il mistero mai chiarito sulla sua scomparsa, quarant'anni fa


02 giugno 2021, ore 11:00 , agg. alle 12:24

All’alba del 2 giugno 1981 il cantautore perdeva la vita al volante della propria auto. Un banale incidente, ma non sono mancate le ipotesi che legano la sciagura alle allusioni, disseminate nei brani, ai retroscena della politica italiana, dalla P2 allo scandalo Lockheed

La profezia si avverò all’alba, nel giorno della festa di quell’Italia che Rino Gaetano aveva raccontato, in modo irriverente e forse cifrato, in molte delle sue canzoni. Su tutte “Aida”, summa della storia del Novecento nazionale, il Paese incarnato in una donna che attraversa divisioni e guerre, lutti e complotti, pur restando sempre bella. Ma la profezia era un’altra, tragicamente personale: Rino l’aveva elaborata dieci anni prima di quel fatale 2 giugno 1981, ne “La ballata di Renzo”, il cui protagonista muore perché non trova posto negli ospedali, sballottato tra uno sciopero del personale medico e l’assenza di un vice capo reparto. Esattamente ciò che accadde a Gaetano dopo lo schianto in via Nomentana, a poche centinaia di metri dalla casa romana, quando la Volvo del cantautore impattò contro un camion. Un colpo di sonno? Oppure gli avevano manomesso i freni, come sostennero poi i dietrologi? Come fosse, i soccorsi si rivelarono inutili: nessun nosocomio capitolino, a partire dal Policlinico, aveva un posto letto disponibile o le attrezzature d’emergenza necessarie per salvare la vita all’agonizzante artista. Negli stessi istanti della tragedia, la sorella Anna Gaetano si svegliò di soprassalto: stava sognando il proprio cane, Zorro, ferito e insanguinato.


Il Santo di “E Berta filava”

Chi mai poteva avere interesse a tappare la bocca a un menestrello, geniale quanto si vuole, che però pareva dedito solo a pirotecniche filastrocche, apparentemente innocue e strampalate? Forse quelli che accoglievano con insofferenza la ventilata frequentazione di Rino con la figlia del medico di Licio Gelli e con alcuni funzionari dell’ambasciata americana a Roma. E che avevano notato un’inquietante coincidenza tra le figurine cantate in “E Berta filava” con i nomi in codice indicati nel ‘78 dal giornalista Mino Pecorelli (che verrà ucciso l’anno successivo) in una inchiesta sul periodico “Op” a proposito dello scandalo sulle tangenti pagate dal nostro governo agli USA per l’acquisto degli aerei militari Lockheed. Pecorelli parlava di “Mario, Gino e Berto”, così come faceva Gaetano nel brano. Laddove Mario era identificabile con Mario Tanassi e Gino con Luigi Gui, i due ministri che erano rimasti impigliati nell’affaire che aveva toccato il Quirinale, con i sospetti sul misterioso “Antelope Cobbler” puntati sul presidente Leone. Berto (per Rino “Berta”) sarebbe stato Robert Gross, il numero uno della Lockheed. E “il Santo” che bruciava sul rogo citato a un certo punto nella canzone? Una pista interpretativa porta ad Aldo Moro, che a quel punto era già stato assassinato dalle Br, e che Gaetano, anche prima del sequestro, non aveva mancato di additare nei suoi concerti come uno dei grandi manovratori occulti delle sorti nazionali. Rino cantautore scomodo? Gli suggerirono di espungere dalla versione finale di “Ma il cielo è sempre più blu” quei due versi chirurgicamente accusatori: “Chi tira la bomba e chi nasconde la mano”. Erano gli squassanti anni Sessanta, quelli delle stragi coi depistatori in doppiopetto e delle P38 che sparavano nelle strade, gli opposti estremismi guidati da innominabili burattinai.


La rivelazione di Dalla

Nessuno saprà mai come sia andata davvero: quel che resta è la formidabile statura artistica - ancor oggi celebrata in uscite discografiche speciali e tributi live - di un ragazzo che, a 31 anni, aveva già rivoluzionato i cliché della musica italiana, da “Mio fratello è figlio unico” a “Sfiorivano le viole”, da “Nun te reggae più” (anche qui, una sfilata di potenti messi alla berlina) o “A mano a mano” e “Agapito Molteni ferroviere”. Con quell’abbacinante apparizione a Sanremo ‘78, proprio pochi giorni prima del rapimento Moro. Gaetano al festival con un cilindro in testa, frac e movenze da giullare per quella marcetta, “Gianna”, che faceva storcere il naso ai benpensanti perché si parlava di sesso e amore free. Rino il mattocchio sapiente, il joker astuto di cui almeno due colleghi rivendicavano la scoperta. Uno era Venditti, che lo presentò a un potente discografico per un provino. L’altro era Lucio Dalla, che giurava di aver incontrato Rino, allora totalmente sconosciuto, mentre faceva autostop in un’area di sosta sulla A1. Il bolognese offrì un passaggio al giovane calabrese, e capì subito che fosse un tipo speciale. Sulla strada iniziò la carriera di Rino, sulla strada si interruppe. Quaranta anni fa. 

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  • 2 giugno 1981
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  • Rino Gaetano