La lezione dei Rolling Stones, il rock è vecchio ma ci aiuta a credere nell'immortalità (di alcuni)

La lezione dei Rolling Stones, il rock è vecchio ma ci aiuta a credere nell'immortalità (di alcuni)

La lezione dei Rolling Stones, il rock è vecchio ma ci aiuta a credere nell'immortalità (di alcuni)


13 maggio 2020, ore 15:00

I Rolling Stones, tra esibizioni benefiche e il nuovo singolo hanno dimostrato ancora una volta di essere immortali

Ricadde sul palco esanime, il polso si percepiva appena. Aveva subìto uno shock elettrico, un corto circuito tra chitarra e amplificazione, dopo un improvviso salto in aria di un metro, un metro e mezzo. Il pubblico non credeva ai propri occhi. Fu trasportato in fretta e furia in ospedale, i medici disperavano di salvarlo. Era il 1965, durante un concerto a Sacramento. Fu la prima esperienza, piuttosto clamorosa, di “quasi-morte” per Keith Richards. Anzi, la seconda: nel ‘44 la casa di famiglia a Dartford era stata colpita da una V-1 nazista piovuta dal cielo. L’ordigno aveva sfondato il tetto e centrata la culla del poppante Keith, che fortunatamente era stato portato dalla mamma in visita al papà Bert, ferito nello sbarco in Normandia. Richards-Hitler 1-0. Figurarsi se una pellaccia come la sua potesse soccombere a un’intera esistenza di eccessi rock con i Rolling Stones. Ne ha passate di tutti i colori, il leggendario chitarrista. Cadde da una palma una quindicina di anni fa, con delicata operazione al cervello, coma indotto e pronostico di fine carriera. Macché: il tour riprese (da Milano), e il Nostro ha continuato a farne di cotte e di crude. Quando è morto il padre, ha rivelato di aver ceduto alla tentazione di sniffarne le ceneri (“Sapevano di legno e tabacco”), perché le droghe “non sono più come quelle degli anni Settanta”, dichiarò. Oggi, i meme di internet giocano sul suo mistero genetico. “L’hanno trovato positivo a tutto, tranne che al coronavirus”. Una possibile spiegazione è data dalla sua accertata discendenza, via Dna, dall’Uomo di Neanderthal.

Resilienza e senilità

Nel tempo oscuro della pandemia, Keith e Mick Jagger (con Ron Wood e Charlie Watts) hanno ridefinito il potere della vecchiaia: girano tutti attorno o sopra agli ottant’anni, eppure sono riusciti a confermare il loro ruolo chiave nella resistenza umana, artistica e sociale. Un “De senectute” rock’n’roll che fa piazza pulita di tante fragilità delle generazioni successive. Nella maratona di beneficenza per l’Oms organizzata da Lady Gaga, “One world together at home”, i Rolling Stones hanno fatto la figura migliore, surclassando tanti divi del pop e del trap contemporaneo, più qualche coetaneo come un routinario Elton John o un declinante Paul McCartney. Il loro contributo, una luminosa versione unplugged del classico “You can’t always get what you want”, con tanto di sorniona finzione di un Charlie Watts senza batteria, a suonare l’aria come un ragazzino nella sua stanzetta, era già un perfetto inno per la resilienza da lockdown. Ma il nuovo singolo certifica il loro ottimo stato di salute. Avevano composto “Living in a ghost town” per il prossimo album, ma gli eventi globali lo hanno trasformato in un pezzo profetico, in una efficace medicina per l’anima necrotizzata dalla quarantena. E il video, con la telecamera a correre nelle città deserte, spettrali nella loro vuotezza, è l’immagine perfetta dell’umanità messa sotto scacco dal Covid-19. Con quel riff inconfondibile della chitarra di Keith che riporta la memoria alle stagioni ruggenti dei Rolling Stones, e rilancia una speranza di immortalità. Per tutti, o almeno per l’inossidabile Mr. Richards.


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