Oasis, Supersonic al cinema la favola rock dei fratelli Gallagher

"Oasis: Supersonic" al cinema la favola rock dei fratelli Gallagher

"Oasis: Supersonic" al cinema la favola rock dei fratelli Gallagher


07 novembre 2016, ore 10:00 , agg. alle 09:54

Da oggi tre serate evento con la biopic che racconta la rapida ascesa della band: dalle case popolari di Manchester all'Olimpo del rock (per l’elenco delle sale www.oasisalcinema.it).

Dagli stessi produttori di ‘Amy’, bellisima biopic su Amy Winehouse, e per la regia di Matt Whitecross, arriva per solo tre giorni in Italia 'Oasis: Supersonic', il racconto della fulminante ascesa dei fratelli Gallagher che, in soli tre anni, entrarono nella storia della musica. Un fenomeno partito dal basso tra spontaneità estrema, rancori sopiti, senso di gruppo, un talento mai inespresso e tutti gli eccessi classici del rock’n’roll, che portò la band dalla piccola sala prove nei sotteranei del Boardwalk di Manchester al palco di Knebworth, dove gli Oasis si esibirono per due sere davanti a 250.000 persone (e altri 2 milioni e più cercarono invano di trovare un biglietto).

 

Ottobre 1996, una versione dodicenne del sottoscritto è incollata sulla sedia di legno del soggiorno, naso nella TV, ad osservare on repeat la videocassetta di '… There and Then', montaggio tra gli show degli Oasis all’Earls Court di Londra e a Maine Road, lo stadio del Manchester City, ora City Of Manchester. Gli Oasis erano entrati nella mia vita a gamba tesa, diretti come un tackle sotto la Kippax Stand, un anno prima con la pubblicazione di '(What’s The Story) Morning Glory?', uno degli album più venduti nella storia britannica; tempi e modi coerenti con la mia età e con il fatto di vivere nella provincia dell’Impero. Ma a quei numeri, quei risultati, quell'isteria collettiva, quella ‘botta di vita’ generale che aveva stregato me e svariati milioni di ragazzi in tutto il mondo, come si era arrivati?

Ce lo racconta in questa biopic Matt Whitecross che, servendosi di un mix fatto di video già noti, registrazioni inedite, anche amatoriali, foto, animazioni, interviste e vari contributi audio, parla di Liam e Noel Gallagher, del rapporto tra due dei fratelli più famosi del rock, che automaticamente significa parlare della band.  ‘Supersonic’ è in primis la storia della famiglia Gallagher, di due (tre con il maggiore Paul) fratelli di discendenza irlandese, cresciuti tra le strade di Burnage, sobborgo popolare a sud di Manchester, nell’inquietudine, nel rancore verso il padre violento, ma narra anche della forte madre Peggy, ancora punto di riferimento per i due e unica persona in grado di riportarli a miti consigli.

Era lo scontro tra due personalità - come racconta lo stesso Noel nel film - la sua da gatto, indipendente e solitario, e quella di Liam, cane festoso e casinista in cerca di attenzioni, due modi di essere che si fondevano, spesso perdendo l’equilibrio e creando effetti devastanti. Il rapporto tormentato e litigioso tra i due, fatto di affetto, insulti e risse, è negli anni diventato un marchio di fabbrica almeno quanto le melodie senza tempo, ed è quello che ha portato alla fine di tutta la favola nel 2009 con lo scioglimento della band. Basti pensare che nel novembre 1995 il 45 giri chiamato “'Wibbling Rivalry' e contenente l’alterco scoppiato tra Liam e Noel durante una delle primissime interviste, con il giornalista John Harris del NME, arrivò 52esimo in classifica.

Qui ci si concentra solo sui primi anni della storia, che passarono velocemente dalle prove negli scantinati del Boardwalk di Manchester all’incontro provvidenziale, in quel di Glasgow, con il boss della Creation Records Alan McGee, alla presa del mondo fatta con forza, arroganza, e inni da stadio. Un viaggio sulle montagne russe a velocità folle dal lancio del primo singolo nell’aprile 1994, Supersonic appunto, all’agosto 1996 con quello che viene definito l’ultimo grande raduno nell’era pre-internet, la fantastica due giorni di Knebworth, passando per il tour americano, quello giapponese, la presenza fissa sui tabloid, oscenità e furore, giusto per citare i Sex Pistols.

 Il ritmo della narrazione, affidata a Liam, Noel e tanti altri protagonisti di questa storia come il chitarrista Paul “Bonehead” Arthurs, Peggy Gallagher o il fido Mark Coyle, fonico e membro onorario della band, è serrato e regala una immersione totale negli anni ’90, nella follia del periodo, suscitando sguardi indietro malinconici e risate a crepapelle, a seconda del momento. C'è l'aspetto documentaristico della storia, certo, ma a prendere il sopravvento è sicuramente quello emozionale, talmente palpabile che chi ha vissuto quel periodo sulla propria pelle avrà un tuffo al cuore dalla nostalgia.

Più giovani avranno la possibilità di percepire  che cosa sono stati gli Oasis: un gruppo di ragazzi, di quelli che potresti trovare al baretto sotto casa a parlare di calcio e bere birra, che dal nulla, dal buco in cui sono cresciuti, sono arrivati ovunque con un impatto devastante sulla cultura popolare dell'epoca. Se negli Stati Uniti si reagiva al post Reagan con la rabbia e il nichilismo del grunge e dei Nirvana di Cobain, in Gran Bretagna i giovani tentavano di ricacciare gli effetti della Thatcher con la voglia di lottare, di prendersi ciò che gli apparteneva, e con un orgoglio nazionale che faceva fiorire ovunque i colori della Union Jack. Un'estetica che alla trinità classica di sesso, droga e musica univa calcio e bei vestiti, in una parziale ripresa di quella 'mod', e quando si parlava di Oasis tutto spesso veniva semplificato aggiungendo i suffissi 'lad' e 'pub' alla parola 'rock', musica fatta da bianchi della working-class, abituali frequentatori di gradinate degli stadi e di qualsiasi posto avesse a disposizione una pinta di birra, ed è vero. Vero è anche che, e questo si intuisce dal film, quello degli Oasis non era un circolo chiuso ma accessibile a tutti, a ogni individuo in qualsiasi posto del pianeta, un po' come era stato il punk sulla fine degli anni'70, e non si contano i ragazzi che hanno deciso di prendere in mano uno strumento grazie a questa gang a tracciare la strada dal Nord Inghilterra.

Se proprio si vuole trovare una pecca alla pellicola, se di pecca vogliamo parlare, è il fatto di fermare l'orologio al punto più alto, quell'agosto 1996 e il viaggio in elicottero sopra la massa indefinita di persone accalcate davanti il palco di Knebworth.  Lo zenith della celebrazione, sì, ma le storie è sempre bene raccontarle per intero, inclusa la progressiva fase calante che portò allo scioglimento della band tredici anni dopo, magari un nuovo capitolo in attesa di una reunion che farebbe impazzire i media come un tempo. Gli scommettitori in Gran Bretagna, nel frattempo, hanno già sospeso le puntate sulla possibilità di vederli nuovamente insieme dal vivo.

 


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