Pd, Letta difende il simbolo e recita il ‘mea culpa’: “Mai più dentro esecutivi di unità nazionale”

Pd, Letta difende il simbolo e recita il ‘mea culpa’: “Mai più dentro esecutivi di unità nazionale”

Pd, Letta difende il simbolo e recita il ‘mea culpa’: “Mai più dentro esecutivi di unità nazionale”


06 ottobre 2022, ore 19:30

Intanto Giorgia Meloni prosegue il lavoro per comporre la squadra di governo, a partire dal nodo del Viminale. Ma ogni casella appare complicata: nel totoministri di oggi spicca il nodo del dicastero della Salute. Fi vuole la Ronzulli, Fdi un tecnico

Un congresso costituente da portare avanti parallelamente a un lavoro di opposizione parlamentare "duro e intransigente" e da concludere entro l'inverno. Enrico Letta riunisce la direzione del Pd e avvia con la sua relazione il percorso che dovrebbe portare, almeno nelle intenzioni, a un profondo cambiamento del Pd e del suo gruppo dirigente. Il segretario parte da una dichiarazione d'amore per il simbolo che, dice, non deve essere cambiato. Quello che va cambiato è anzitutto il gruppo dirigente: "Serve un nuovo gruppo dirigente formato da nuove generazioni, dice Letta: "E' giusto mettere in campo una classe dirigente più giovane, che il Pd ha, in grado di contrastare un governo guidato da una donna giovane, sebbene con una lunga militanza alle spalle. Una nuova generazione legittimata dal congresso, che metta in pratica i nostri valori", sottolinea ancora il segretario. Letta è determinato a guidare questa fase, lasciando il posto al nuovo segretario che sarà scelto dalle primarie, strumento principe del Pd finito nel mirino di una parte della sinistra dem nelle ultime ore. "Non concorsi di bellezza", avverte il leader dem, "ma un percorso che ci consenta di affrontare i nodi che abbiamo davanti in profondità. Il confronto fra candidature farà bene al partito".

Chiarezza

Per arrivare a questo, tuttavia, è necessario fare chiarezza all'interno del Pd che ha perso le elezioni. Letta non nasconde la sconfitta, se ne assume la responsabilità, ma non accetta la drammatizzazione di chi dice che è tutto da gettare a mare e di sciogliere il partito. "Io credo che sia stato un successo far nascere il Pd, è stato e sarà una storia positiva per il Paese", premette il segretario. "Siamo gli unici ad aver fatto elezioni in alternativa alla destra, tutti gli altri hanno fatto elezioni in alternativa a noi. Noi siamo gli unici ad aver costruito un progetto alternativo alla destra". Una alternativa confermata da un risultato che, nella sconfitta, attribuisce al Pd il ruolo di "partito guida dell'opposizione", in quanto secondo partito in Italia e primo fra quelli che non stanno in maggioranza. Un risultato figlio di un percorso non concluso, quello di ricostruzione e crescita del partito, attraverso il lavoro delle Agorà, Soprattutto figlio del 24 febbraio, questo passo falso seguito a una serie di successi alle amministrative e alle regionali: "Quando abbiamo eletto Mattarella eravamo in una condizione diversa da quella che poi si è verificata. La guerra, per le responsabilità di governo che ci siamo assunti, ci ha messo in una condizione nella quale la nostra capacità espansiva è stata interrotta. Non rinnego la nostra scelta, c'è bisogno di assumersi delle responsabilità", spiega il segretario.


Il campo largo

La guerra, ma non solo. A pesare sulla sconfitta del Pd c'è stata anche l'implosione del 'campo largo', che ha reso impossibile il presentarsi all'appuntamento con il voto dentro a una alleanza larga. "Un campo ha vinto perché è stato unito, il nostro campo invece non lo e' stato nonostante il lavoro di mesi ed anni per costruire il campo largo, una larga unità, unica condizione con la quale si sarebbe potuto vincere". Quello che il Pd deve fare ora, per Letta, e' tornare ad essere quel "partito pugnace" che era all'origine e ricominciare a parlare con "quelle fasce di popolazione che non ce la fanno, non solo con quelli che ce la fanno". Intanto organizzando l'opposizione in Parlamento. Il primo nodo quello dell'elezione dei o delle capigruppo. Letta chiede che siano, ancora, delle donne a guidare le fila parlamentari dem. Perché il segretario ammette che la scarsa rappresentanza femminile alle Camere "è stata una sconfitta", ma aggiunge anche che "il Pd non deve fare passi indietro" rispetto alla valorizzazione delle donne nel partito. il percorso congressuale, dunque, dovrà marciare di pari passo con l'organizzazione di una "opposizione intransigente" contro "un governo che mostra già adesso le sue difficoltà. E non è ancora nato. Giudicheremo il governo per quello che farà ma qualunque idea programmatica è venuta già meno rispetto alle tante promesse di campagna elettorale". Per questo Letta azzarda una previsione: "La luna di miele del governo con il Paese sarà breve: la situazione sociale è fortemente tesa”.

Meloni

Nel frattempo Giorgia Meloni prosegue il lavoro per comporre la squadra di governo, a partire dal nodo del Viminale. Ma ogni casella è complicata: nel totoministri di oggi spicca il nodo del dicastero della Salute.

Salute
Chi sarà il prossimo ministro della Sanità? Berlusconi preme su Licia Ronzulli o sul nome di Alberto Zangrillo, primario al San Raffaele e suo medico, ma a quanto pare a via della Scrofa non ci pensano proprio. Ed ecco che spuntano o nomi di Guido Rasi (ex direttore esecutivo dell'Ema e anche consulente dell'ex commissario Figliuolo), Francesco Rocca (presidente del Comitato nazionale della Croce Rossa Italiana). Quello che si sa con certezza a una settimana dall'avvio della XIX legislatura è che Meloni vorrebbe un governo con importante presenza di tecnici, un esecutivo con pochi i dirigenti politici.
Esteri
A Giampiero Massolo o Elisabetta Belloni (che dopo il consenso dei giorni scorsi sembra essere un po' meno quotato) per il ministero degli Esteri si fa il nome anche di Antonio Tajani e l'ambasciatore Stefano Pontecorvo. Tramontata ormai l'ipotesi Panetta all'Economia, il membro italiano nel board della Bce sembra infatti non essere interssato all'incarico.
Viminale
Il ministro dell'Interno è uno degli incastri più difficili da risolvere. Matteo Salvini vorrebbe tornare al Viminale, ma dopo il veto di Meloni sembra disponibile a fare un passo di lato. Il leader leghista potrebbe quindi accontentarsi della nomina del suo ex capo di gabinetto, Matteo Piantedosi, attualmente prefetto di Roma. E accettare così l'Agricoltura o più probabilmente i Trasporti oltre all'incarico da vicepremier.
Affari europei
Agli Affari europei tra i più papabili c'è Raffaele Fitto. Giovanni Battista Fazzolari è dato come sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Gli altri invece saranno specialisti d'area o comunque figure che non hanno mai avuto dimestichezza con gli scranni del Parlamento. Qualche nome? Circola quello del generale di corpo d'Armata Luciano Portolano come possibile inquilino alla Difesa.
Camere
Alla presidenza del Senato il derby è tra Ignazio La Russa e Roberto Calderoli. Alla Camera invece si fa il nome dei leghisti Riccardo Molinari o Giancarlo Giorgetti.

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