Per I Cani c'è un'Aurora più luminosa che mai

Per I Cani c'è un'Aurora più luminosa che mai

Per I Cani c'è un'Aurora più luminosa che mai


05 febbraio 2016, ore 18:38 , agg. alle 19:09

Terzo lavoro per la band romana, "Aurora" è forse l'album meno immediato de I Cani, ma anche il più completo.

De I Cani, progetto del romano Niccolò Contessa, si è sempre discusso tanto, sin dall'esordio con "Il sorprendente album d'esordio de I Cani" nel 2011 divenuto subito uno dei casi dell'indie italiano. Si è parlato di elettro-punk, delle fotografie romanocentriche, di una certa gioventù descritta nei testi che sembrava messa un po' alla berlina pur essendo proprio quella dell'ascoltatore medio, si è detto che fosse tutto marketing, i sacchetti dietro i quali Contessa inizialmente celava il proprio volto, tanto hype e poca sostanza. Balle.

Contessa è cantautore moderno che completa e perfeziona con l'ultima fatica "Aurora", uscita pochi giorni fa, il percorso già iniziato tre anni fa con "Glamour" e che l'ha visto distaccarsi gradualmente dalla posizione di "osservatore simpatetico, razionale e imparziale" per dirla con Rawls, di pariolini, liceali e universitari pseudoalternativi, per arrivare a fare un disco meno descrittivo, ma che parla di se stesso, o quantomeno anche a se stesso. Certo, non mancano le polaroid da vita mondana, come nel primo singolo Baby Soldato, che si sposta a Milano tra giovani modelle che faticano a reggere ritmi vorticosi e "zio" in quantità, ma "Aurora" è un album sostanzialmente intimo. Lo si legge tra i testi, lo si sente nei suoni, un campionario di synth ed elettronica mai invadente e ben calibrato che sembra quasi una vera e propria colonna sonora ai pensieri dell'autore. Ci sono universo e spiritualità, amore da cartellonistica e derive nerd, si passa dalle serate in lista cocktail in mano al tragitto club - letto mani in tasca e cieli neri, fino, appunto, all'aurora.

Sarà l'aggiunta di qualche numero sulla carta di identità, sarà il bagaglio di esperienze raccolto negli anni recenti (tra colonne sonore sotto insegna The Pills e Zanasi, alla produzione di "Mainstream" disco del, guarda un po', nuovo caso italico Calcutta), ma questo sembra essere il classico album della maturità, riflessivo e mai banale, anche quando si tuffa in suoni smaccatamente pop come in Non Finirà, una sorta di ibridazione tra Hot Chip e Chic con il giro di basso di Another One Bites The Dust dei Queen.

Che poi la parola chiave è sempre quella: "pop", che in Italia, sarà il retaggio che ci si porta dietro dal cantautorato e prog anni '70, viene spesso presa come sinonimo di poca qualità, per non parlare poi di quelli musoni e impegnati a tutti i costi che quando sentono qualcosa di orecchiabile storcono il naso a prescindere, e si lamentano.
Per fortuna c'è modo e modo di fare pop, che non sempre è facile e facilone, quello de I Cani ne è esempio lampante ma non isolato all'interno del sottobosco italiano, per quanto abbia ancora senso parlare di sottobosco quando gente come Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti, Alessandro Raina degli Amor Fou, Dimartino o Dardust-Faini scrive materiale da classifica. "Aurora" perde forse l'immediatezza e lo "svacco punk" dei precedenti lavori ma ne guadagna in struttura, in forma canzone, tutto è al posto giusto, piacevole, minimale dove serve, non ripetitivo, anche se non sempre davvero immediato. Poi un album è bello davvero quando non ti stanchi di ascoltarlo e le chiacchiere stanno a zero.

Questo nostro grande amore prende il via un po' come i Beatles del periodo blu, e affronta la materia amorosa con arguzia da 2016 e una sfilza di riferimenti finanziari, Il Posto Più Freddo e Una Cosa Stupida sono ballad soffici a tutto synth, che avrebbero una presa mica da poco anche destrutturate a solo voce e chitarra (o, più realisticamente, piano), e questo, se non sai scrivere canzoni, non accade quasi mai. Ultimo mondo e Finirà, sono dei piccoli gioielli di 80s crepuscolare, con spruzzi di Blade runner e prendono per mano fino alla chiusura, con la "ninna nanna" di Sparire, a riveder le stelle, forse.

Di Contessa,  così come di tutti questi artisti che tra polemiche, dietrologie, e semplici difficoltà provano a dimostrare che anche l'Italia può produrre pop intelligente e fatto bene non bisognerebbe mai fare a meno.


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