Trentuno anni fa il delitto di via Poma, a Roma, fu uccisa la giovane Simonetta Cesaroni e non c'è un colpevole

Trentuno anni fa il delitto di via Poma, a Roma, fu uccisa la giovane Simonetta Cesaroni e non c'è un colpevole

Trentuno anni fa il delitto di via Poma, a Roma, fu uccisa la giovane Simonetta Cesaroni e non c'è un colpevole


07 agosto 2021, ore 10:00

L'omicidio dell'impiegata resta uno dei grandi misteri italiani

Un delitto mai risolto

Il delitto di via Poma è uno dei grandi misteri italiani. L'assassino di Simonetta Cesaroni, uccisa in ufficio il 7 agosto del 1990, non ha ancora un nome. La ragazza aveva 21 anni ed era al lavoro nei locali dell'Associazione Italiana Ostelli della Gioventù da sola quando qualcuno la raggiunse e assassinò con 29 coltellate. Secondo gli inquirenti, Simonetta Cesaroni, che dal giorno dopo sarebbe stata in ferie, conosceva il suo assassino. Il cadavere fu trovato dalla sorella della vittima, che la cercava perchè non era tornata a casa. Tutti noi, in questi anni, abbiamo imparato a conoscere Simonetta dalla sua foto più diffusa, quella di una bella ragazza al mare con indosso un costume bianco. 


La giornata di Simonetta

Secondo le indagini, Simonetta Cesaroni arrivò in ufficio intorno alle 15.45 e, per entrare, usò un mazzo di chiavi che le era stato consegnato dal suo datore di lavoro, chiavi che non sono mai state ritrovate. Alle 17.15, la giovane chiamò al telefono una sua collega, che la richiamò, parlandole, alle 17.35. È l'ultima volta in cui Simonetta parlò con qualcuno. Venne ritrovata con il reggiseno abbassato e il corsetto appoggiato sul ventre. L'arma del delitto venne individuata in un tagliacarte.


L'iter processuale

Il primo a essere sospettato fu il portiere dello stabile, Pietro Vanacore. Ad aggravare la posizione dell'uomo le dichiarazioni di uno dei condomini, l'architetto Cesare Valle, a cui Vanacore prestava assistenza durante la notte. Valle riferì che il portiere era arrivato a casa sua un'ora più tardi del solito. Dopo 26 giorni di carcere, Vanacore fu però rilasciato perché le prove a suo carico si rivelarono inconsistenti. L'uomo si suicidò nel 2010, lasciando un biglietto in cui si diceva provato dai sospetti. Nel 1991, sotto la lente degli inquirenti finì Federico Valle, nipote dell'architetto a cui Vanacore prestava assistenza. Venne accusato da un pregiudicato, ma anche in questo caso tutto finì nel nulla. Nel 2004, furono effettuati esami del dna sul reggiseno e sul corpetto di Simonetta Cesaroni, reperti dimenticati in un armadio, e fu trovato il Dna del Fidanzato, Raniero Busco. Il giovane meccanico dell'Alitalia fu iscritto nel registro degli indagati. Dai diari di Simonetta, il rapporto con il fidanzato non sembrava essere idilliaco. Busco in primo grado, nel 2011, fu condannato a 24 anni di carcere per omicidio, anche perché la sua dentatura sembrò compatibile con un morso trovato sul corpo di Simonetta. In appello, nel 2012, Busco fu però assolto. Assoluzione che divenne definitiva nel 2014 con la sentenza della Cassazione. Il volto della persona che uccise barbaramente la 21enne resta avvolto nell'oscurità.





Argomenti

  • delitto
  • Pietro Vanacore
  • Raniero Busco
  • Roma
  • Simonetta Cesaroni
  • Via Poma