Studio di Confesercenti sullo smart working, meno spese per lavoratori e aziende, ma diverse categorie penalizzate

Studio di Confesercenti sullo smart working, meno spese per lavoratori e aziende, ma diverse categorie penalizzate

Studio di Confesercenti sullo smart working, meno spese per lavoratori e aziende, ma diverse categorie penalizzate


24 maggio 2022, ore 12:14 , agg. alle 12:42

2 miliardi e mezzo di risparmi per le imprese. Ma ristorazione, turismo e trasporti perdono 25 miliardi di fatturato. Il lavoro ‘agile’ ridisegnerà mobilità e centri urbani, ma tra negozi, ristoranti e hotel a rischio 21mila attività

PRO E CONTRO

Lo smart working è una delle eredità lasciate dalla pandemia e dal lockdown. Ha consentito a molte aziende di restare attive quando tutto era chiuso, ha regalato a molti lavoratori la possibilità di semplificare la quotidianità, guadagnando tempo per la famiglia o più in generale per il privato. Non mancano gli effetti negativi: alla lunga lavorare sempre da casa, da soli, magari restando sempre in pigiama può essere alienante. Ora, con il progressivo ritorno alla normalità, milioni di lavoratori hanno ripreso le vecchie abitudini da ufficio. Sapendo però che il piano B – sperimentato negli ultimi due anni – può essere valido. Ma c’è chi ha fatto un po’ di conti. Lo smart working conviene più alle aziende o ai lavoratori? E nuoce a qualcuno? Confesercenti ha condotto uno studio. La sostanza è questa: se lo smart working diventasse una abitudine diffusa e consolidata, le aziende e i lavoratori risparmierebbero. Ma molte categorie risulterebbero penalizzate: si pensi a tutti coloro che gravitano intorno a uffici e fabbriche. Dai trasporti ai parcheggi fino ai bar e ristoranti focalizzati sulla pausa pranzo dei lavoratori.

LO STUDIO DI CONFESERCENTI

Questi i dettagli dello studio condotto da Confesercenti. Prima della pandemia in Italia c’erano solo 184mila lavoratori in smart working, 1 milione e 300 mila (il 5,7% del totale) includendo chi utilizzava la propria abitazione come luogo di lavoro secondario od occasionale. Ad aprile 2020, i lavoratori agili erano 9 milioni, scesi poi a 4 milioni e mezzo al termine dell’emergenza. Se lo smart working diventasse strutturale, sarebbe una vera e propria rivoluzione nel modo di vivere il lavoro e la città, che coinvolgerebbe 6 milioni e 200 mila lavoratori e ognio giorno cancellerebbe dalle strade quasi 5 milioni di passeggeri di mezzi privati o pubblici. Ci sarebbe un impatto profondo ma asimmetrico sulle imprese: da un lato porterebbe il sistema imprenditoriale a risparmiare 12 miliardi e mezzo l’anno, dall’altro farebbe perdere circa 25 miliardi di euro di fatturato alle attività della ristorazione, del commercio, del turismo e dei trasporti, in particolare nei capoluoghi e nei grandi centri urbani..

CHI CI GUADAGNA

Lo smart working influisce sulle abitudini di consumo e sulla tipologia di spesa per la famiglia. Chi lavora da remoto spende di più per la tecnologia per lavorare da casa; di meno per la cura della persona e per l’abbigliamento; inoltre, consuma un minor numero di pasti fuori, utilizza meno i trasporti e le attività ricettive ma allo stesso tempo aumenta la spesa per prodotti alimentari e utenze domestiche. Comunque le famiglie spenderebbero molto di meno, in totale quasi dieci miliardi all’anno. La riduzione di personale in presenza può portare anche un sensibile risparmio per le imprese, dai costi sostenuti per l’acquisto e gli affitti dei locali a quelli del consumo di energia elettrica e gas, di trasporto e spostamento e tutto l’insieme dei costi indiretti. Il sistema imprenditoriale nel complesso risparmierebbe 12 miliardi e mezzo all’anno


CHI CI PERDE

Un massiccio spostamento del lavoro da casa si farebbe sentire soprattutto sulle grandi città. Un effetto benefico sarebbe una drastica riduzione del traffico. Ma una serie di categorie rimarrebbe penalizzata: ci sarebbero tagli nelle aziende di trasporto pubblico, mancati introiti per chi gestisce parcheggi; nell’ambito food molti ristoranti, bar, gastronomie, pizzerie si sono focalizzate sulla pausa pranzo. Senza lavoratori negli uffici, perderebbero molti clienti. E potrebbero andare in crisi anche le società che gestiscono le mense aziendali. In totale ristorazione, turismo e trasporti perderebbero 25 miliardi di fatturato. Tra negozi, ristoranti e hotel a rischio 21 mila attività. 


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