Verso i David di Donatello 2024, Rapito di Marco Bellocchio. Il potere di diventare liberi

Verso i David di Donatello 2024, Rapito di Marco Bellocchio. Il potere di diventare liberi

Verso i David di Donatello 2024, Rapito di Marco Bellocchio. Il potere di diventare liberi Photo Credit: Agenzia Fotogramma.it


Il racconto di Edgardo Mortara, senza ideologie né pregiudizi, mostrando sfumature e contraddizioni di una pagina di storia su cui riflettere

Prosegue la nostra carrellata delle cinque pellicole che hanno ottenuto la candidatura come miglior film ai David di Donatello 2024. Il premio più prestigioso del cinema italiano sarà consegnato nella sfarzosa cornice del teatro cinque di Cinecittà il prossimo 3 maggio. Padrone di casa dell’evento sarà nuovamente Carlo Conti che quest’anno sarà affiancato da Alessia Marcuzzi. Dopo aver raccontato C’è ancora domani di Paola Cortellesi e Il Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti, questa volta parliamo di Rapito, il film diretto da Marco Bellocchio che gareggiò lo scorso anno in concorso al Festival del Cinema di Cannes.


LA TRAMA DEL FILM

Dopo essere tornato ad esplorare la pagina di storia italiana su Aldo Moro con la serie Esterno Notte, Bellocchio torna ancora più indietro. Siamo nel 1858 alle soglie di un processo di unità d'Italia che tarda ad arrivare. La sera del 23 giugno, a Bologna, la Gendarmeria dello Stato Pontificio si presenta alla porta della famiglia Mortara, di origine ebraica, per prelevare il sesto dei loro otto figli, Edgardo, di appena sei anni, e trasportarlo a Roma per essere allevato dalla Chiesa. I rappresentanti ecclesiastici avevano riferito che una cameriera cattolica della famiglia Mortara, qualche anno prima, aveva battezzato segretamente il piccolo Edgardo durante una malattia, per salvare la sua anima qualora fosse morto. Ma le leggi dello Stato Pontificio, all'epoca, non consentivano che un bimbo cristiano venisse allevato da una famiglia ebrea. E quindi, per volere del Papa Re, Edgardo viene costretto a crescere sotto la cupola di San Pietro, nel dogma del cattolicesimo. La notizia corre veloce e mentre i genitori tentano manovre disperate per riavere il figlio, nel paese cresce un moto di insoddisfazione nei confronti del potere papale.


UNA STORIA DI SCONFITTA E DI VITTORIA

Asciutto, raffinato e spietato.

Rapito mette in scena una storia passata con la quale fare i conti. Un racconto maneggiato con tutta la cura di un maestro dell'arte cinematografica, che non smette mai di sorprendere. Un cinema d'autore, colto, intelligente e intellettualmente onesto che però non si chiude in sé stesso, ma anzi riesce benissimo ad essere popolare e per tutti. Lo stilo di forte impronta autoriale che però sa essere anche mainstream. Bellocchio si nutre di un cast in stato di grazia, dove si fa a gara a chi è più bravo. Svetta su tutti Barbara Ronchi, che crea un misto di rabbia e dolore così potente da far venire i brividi. Ma come non citare anche il Papa Pio IX di Paolo Pierobon, con il suo potere che sembra corroderlo dall'interno. Ma anche Fabrizio Gifuni ancora ottimo nei panni di Pier Gaetano Feletti. La pellicola procede spedita con un ritmo sostenuto che non si inceppa mai. Immagini sublimi che circondano questo racconto così disumano e feroce. Bellocchio inquadra il Risorgimento ispirandosi alla tradizione letteraria dei vedutisti italiani, mostrando questi scorci di Roma e di Bologna come se li avesse dipinti con l'acquerello. Il regista si dimostra un perfetto direttore d'orchestra, in grado di gestire con cura e intelligenza il linguaggio filmico. Si pensi all'uso del montaggio parallelo nella sequenza dove la cresima e il processo si alternano provocatoriamente, un pò come fece Coppola nel finale del suo Padrino dove si alternava un battesimo con una serie di omicidi. Rapito è la storia di una sconfitta ma allo stesso tempo di una vittoria. Infatti sebbene il caso Mortara non abbia un lieto fine, Bellocchio ci mostra come l'intera vicenda abbia fatto da detonatore per dare inizio ad un processo storico d'indipendenza dal potere assoluto dello Stato Pontificio. La questione fu utilizzata dai sostenitori del Risorgimento, il movimento per l’unificazione dell’Italia, per mettere in discussione la legittimità del governo papale. Ma soprattutto la crescente pressione internazionale e le tensioni interne contribuirono alla caduta degli Stati Pontifici e all’annessione di Roma all’Italia nel 1870.



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