Israele, c’è anche un’altra guerra in corso e si combatte: quella dell’informazione. L' "Information War"
30 novembre 2025, ore 10:00 , agg. alle 21:47
il governo israeliano ha aperto le porte del Paese e ha accolto un piccolo gruppo di giornalisti italiani. C’eravamo anche noi. Una settimana di impegni istituzionali, interviste, testimonianze e sopralluoghi nei punti-simbolo del massacro del 7 ottobre
C’è una guerra in cui lo Stato di Israele è consapevole che sta perdendo: la guerra dell’informazione. Basti pensare alla tantissime manifestazioni in tutto il mondo e in Italia a sostegno della causa della Palestina (l'ultima ieri a Roma). Per questo il governo israeliano ha aperto le porte del Paese e ha accolto un piccolo gruppo di giornalisti italiani. C’eravamo anche noi.
La settimana
Una settimana di impegni istituzionali, interviste e sopralluoghi nei punti-simbolo del massacro del 7 ottobre. Una ventina di incontri tra Ong, partiti, analisti militari, ufficiali dell’IDF, associazioni per i diritti delle donne, testimoni dell’assalto di Hamas, fonti dell’intelligence, kibbutzim, Knesset. Ministero degli Esteri. Una visita articolata e approfondita che alla fine dipinge un quadro diverso dalla narrazione che spesso appare sui media. Per Israele il 7 ottobre è stato un nuovo Olocausto: sì, in forma moderna, ma la portata vissuta è la stessa, paragonabile allo sterminio della Seconda Guerra Mondiale. Come dimostra l’incredibile testimonianza di Mazal Tazazo, israeliana di Sderot, di origini etiopi: è sopravvissuta alla strage al Nova Festival fingendosi cadavere, in mezzo ai due suoi amici, crivellati dalle mitragliate di Hamas. Mazal lavora come volontaria per le memoria delle vittime, anche se in pratica significa rinnovare ogni giorno il suo dolore, ma deve “onorare il patto fatto con Dio, il fatto di essere viva per miracolo”.
Bismuth
E la portata del 7 ottobre viene evidenziata anche dalle parole di Boaz Bismuth, presidente della Commissione Esteri e Difesa della Knesset, deputato del Likud: “Il 7 ottobre è stato biblico: se qualcuno uccide tua moglie, violenta tua figlia, massacra i tuoi figli, qual è la risposta proporzionata? Noi non abbiamo rapito, noi non abbiamo stuprato, abbiamo difeso le nostre famiglie. E proporzionalità vuol dire impedire che ciò avvenga di nuovo. E impedire che Hamas governi ancora a Gaza”. Gìà, Gaza. Vista e fotografata soltanto da qualche chilometro di distanza. Si scorgono luci e fumo, per il resto parlano le dichiarazioni di Khaled Abu Toameh, uno dei più autorevoli giornalisti arabi israeliani: “Prima del 7 ottobre Gaza aveva ristoranti di lusso, cantieri, soldi da Qatar, Europa, Israele. Il problema è l’educazione: se a casa e in televisione ti ripetono che gli ebrei sono demoni, i 10mila dollari al mese non cambiano il risultato. Il nodo è che molti nel mondo arabo-musulmano non accettano il diritto di Israele ad esistere. Per molti palestinesi Israele è un unico grande insediamento da liberare”.
Otmozguin
Ma è sempre il 7 ottobre il filo conduttore da cui ripartire: ogni giorno Israele riparte da lì. E lo fa naturalmente pure Haim Otmozguin, imprenditore, ufficiale della riserva israeliana, comandante di Zaka, organizzazione umanitaria dedita al pronto intervento in caso di incidenti, sparatorie, attentati terroristici. Haim è stato primi soccorritori del 7 ottobre, e ha avuto un ruolo fondamentale per l’identificazione di gran parte delle vittime: “E’ un servizio sacro, e non si chiede un ringraziamento: perché il morto non può dare nulla indietro”.
Hezbollah
Nel piccolo centro di Majdal Shams le giornate del 7 ottobre in realtà sono due, accanto al 7 ottobre 2023 c’è il giorno in cui hanno perso la vita 12 bambini uccisi da uno degli oltre cinquemila missili lanciati da Hezbollah, dal Sud del Libano, verso obbiettivi civili israeliani. Le parole dei genitori della piccola Alma, uccisa a 11 anni, sono al contempo fiere e toccanti: sono lì a memoria perenne di un crimine di guerra. E l’ufficiale senior dell’esercito israeliano, che chiede l’anonimato perché Hezbollah ha messo una taglia sulla sua testa, dal confine libanese spiega che “l’Iran è una minaccia crescente ma comunque se riusciamo a rimuovere i terroristi dal Libano, si può raggiungere un accordo politico”. Al termine del viaggio l’impressione è forte: spesso in Europa e negli stessi Stati Uniti la percezione ha sostituito la realtà, e più che fedeli ai fatti si seguono le mode. E di certo chi prospetta oppure narra un Paese diviso non racconta la verità. Israele è un Paese unito. Consapevole che assieme alla battaglia sul campo e sui diversi terreni anche quella dell’informazione può essere l’ago della bilancia. La Stella di David dunque ha aperto Il fronte dell'informazione, e conta di ribaltare il risultato. Che per adesso la vede socccombere.



