Non di solo Covid, il coronavirus ha monopolizzato ospedali e attenzione mediatica, ma si continua a morire anche di altro

Non di solo Covid, il coronavirus ha monopolizzato ospedali e attenzione mediatica, ma si continua a morire anche di altro

Non di solo Covid, il coronavirus ha monopolizzato ospedali e attenzione mediatica, ma si continua a morire anche di altro


La percezione, negli ultimi mesi, è quella che esista solo la possibilità di ammalarsi di coronavirus, ma molti continuano a lottare contro altre malattie

Un lungo corridoio, le poltroncine di legno e acciaio tra loro legate, lo schermo che indica i numeri degli sportelli, il totem per ritirare il biglietto della prenotazione, la voce metallica di un computer che ti indica la strada, le lettere sui muri che segnalano il percorso, le strisce incollate a terra sul linoleum come sentieri di ipotetici viaggi della speranza, la porta oltre la quale iniziano le sequenze di stanze per la chemioterapia. Oggi, però, gli eroi sono altri, vestiti di bianco accecante, maschere di plastica a coprire gli occhi arrossati dalla stanchezza, mascherine con il filtro a coprire bocca e naso, soprascarpe in plastica trasparente, guanti in lattice, alcuni blu, unica nota di colore. E le vittime sono invisibili, dietro spesse porte semi blindate, luci artificiali, rumori ritmici di respiratori, cannule ovunque, caschi lunari trasparenti annebbiati dal fiato, occhi a volte sbarrati. Fuori i cronisti in famelica attesa di testimonianze dirette degli eroi, fuori i parenti, le mani intrecciate nell’ansia o in una muta preghiera, la conta dei numeri, la curva che scende piano, troppo piano, la fase uno che continua mentre la fase due incombe, speranza e paura, liberazione e incubo, domande inespresse da voci tremanti o da soloni arroganti, spesso solo ignoranti: e se torna? Se la bestia di nome Coronavirus, Covid 19 o qualsivoglia denominazione, profana o scientifica, dovesse di nuovo attaccarci come e più di prima?

Non di solo Covid

E intanto, lì, seduto sulla sua poltroncina di legno, un ragazzo grande e grosso, nemmeno trent’anni, ma con un fegato ormai distrutto dalle metastasi di un tumore che sta per dirgli con protervia: game over. E più in là una signora, un foulard vezzoso sul capo, che so, cinquant’anni, difficile dirlo, il volto emaciato, le labbra pallide, gli occhi in cui non sai se leggere coraggio o disperazione o entrambi. Attende il suo turno per la radioterapia, dopo un intervento all’utero, dopo una lunga vomitevole, letteralmente vomitevole, chemioterapia. C’è anche un bambino, il cranio rasato, dispettoso come lo può essere un ragazzino annoiato dall’attesa, ma forse è solo paura, ansia, chissà, consapevolezza che le sue cellule sono impazzite e dovrà combattere una battaglia durissima, altro che quelle, nonostante le lamentele di mamma e papà, combattute di fronte allo schermo del suo smartphone. La leucemia non fa sempre sconti.

Gli altri eroi

Dietro la porta altri eroi, medici, infermieri, personale sanitario. Niente maschere spaziali, niente cronisti famelici in attesa, non si parlerà di loro questa sera nei tg, domani sui giornali, ad ogni ora sui social. E ci saranno rabbia, bestemmie, accuse, parenti arroganti e privi di gratitudine, come spesso, troppo spesso, accade nei nostri ospedali, dove sul parabrezza sotto il tergicristallo non troverete parole di gratitudine commossa ma biglietti da visita di azzeccagarbugli pronti ad offrire i propri servigi per denunciare l’indenunciabile e sperare di poter passare ad un vergognoso incasso. Non di solo Covid, anche se oggi è quello il simbolo della “malattia” e dell’”eroismo”. Chissà se ce ne ricorderemo quando torneremo negli ospedali con le nostre comuni, volgari malattie .


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