Trent'anni senza Freddie Mercury. Il 24 novembre 1991 si spegneva il cantante diventato leggenda

Trent'anni senza Freddie Mercury. Il 24 novembre 1991 si spegneva il cantante diventato leggenda

Trent'anni senza Freddie Mercury. Il 24 novembre 1991 si spegneva il cantante diventato leggenda


Istrionico, sfrontato e dal talento inarrivabile. Sono passati esattamente trent'anni dalla scomparsa del cantante entrato di diritto nell'Olimpo delle leggende

Freddie Mercury aveva annunciato al mondo la sua malattia il 23 novembre 1991. Ventiquattro ore dopo si spense nella sua casa di Logan Place, a Londra. Il sospetto che fosse affetto da AIDS circolava da anni, il tabloid The Sun insinuava che il cantante avesse ricevuto la diagnosi di sieropositività già nel 1986. Le voci si erano intensificate nel febbraio 1990, quando Mercury fece la sua ultima apparizione pubblica ufficiale all’undicesima edizione dei Brit Awards: fisicamente provato e stranamente riservato, così lo descrissero i presenti.

“AVETE RUBATO LA SCENA A TUTTI”

All’anagrafe Farrock Bulsara, originario di Zanzibar, dalla personalità istrionica e dal carisma ineguagliabile, Freddie Mercury è riuscito nella rara impresa di consegnare il suo nome alla storia. La sua morte, per uno strano paradosso, sembra solo una fase della sua immortale esistenza. Fu chiaro a tutti che il suo nome sarebbe stato scritto di diritto nell’Olimpo delle leggende molto prima della scomparsa: precisamente, alle 18.40 del 13 luglio 1985. L’idea di Bob Geldof, la mente dietro il Live Aid, era quella di riunire le più grandi star della musica su due palchi, uno a Londra e uno a Philadelphia, per raccogliere fondi per la lotta alla carestia in Etiopia. Un progetto ambizioso, che all’inizio non convinse i Queen: unire contemporaneamente due concerti divisi tra Gran Bretagna e America in una diretta televisiva mondiale sembrava tecnicamente azzardato. Ma Geldof insistette per avere la band sul palco inglese, convinto che la loro presenza fosse fondamentale. Alla fine, accettarono. Mentre i Queen salivano sul palco - con una scaletta studiata al secondo che prevedeva Bohemian Rhapsody, Radio Gaga, Hammer To Fall, Crazy Little Thing Called Love e We Are The Champions - dietro le quinte il fonico aveva disattivato i limitatori del sound system, rendendo la performance del gruppo la più potente di tutto il Live Aid. “Avete rubato la scena a tutti!”, gli gridò bonariamente Elton John quando scesero dal palco. Ed era vero. Con quei venti minuti avevano acceso lo stadio di Wembley, riempito da 72.000 persone, di un’euforia che nessun artista è mai riuscito a replicare nella storia. Dietro le quinte, i telefoni che dovevano ricevere le chiamate per le donazioni, suonarono all’impazzata.

SHOW MUST GO ON

Lo spettacolo deve andare avanti. Una promessa scritta da Brian May e sancita da una delle performance vocali più intense di Mercury. «Dissi, "Fred, non so se sarà possibile cantare". E lui disse: "Lo farò, cazzo, tesoro" – bevve vodka – ed entrò e fece una performance perfetta, facendo alla grande la sua parte vocale», ricorda il chitarrista. The Show Must Go On chiudeva Innuendo, quattordicesimo disco della band, che arrivò al grande pubblico nel febbraio del 1991. Un album testamento, l’ultimo che la band registrò insieme prima della morte del frontman. “Those were the days of our lives, yeah / The bad things in life were so few / Those days are all gone now but one thing's still true / When I look and I find / I still love you”. Fu l’ultima canzone che suonarono insieme in studio, These Are The Days Of Our Lives. Trent’anni fa si chiudeva la storia terrena di Freddie Mercury, dopo una carriera da irresistibile frontman. La sua fu forse la più grande voce della storia del rock, capace di passare da pezzi di grande energia alla disco pop fino a puntate di tipo pop operistico come Bohemian Rhapsody. Si dimostrò versatile, istrionico, provocatorio anche nella sua carriera solista. Mai di nicchia, era una voce per tutti: per questo ha fatto leggenda. Freddie era il re. Era sua la corona.






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