Strage di Paderno Dugnano, Riccardo Chiarioni rinuncia all'appello. Sterminò la famiglia con 108 coltellate Photo Credit: ANSA
06 novembre 2025, ore 12:35
Sconterà la pena di 20 anni emessa in primo grado dal tribunale dei minori. La sentenza non teneva conto del vizio di mente della perizia psichiatrica, ma l'imputato sceglie di non impugnare la condanna
Riccardo Chiarioni ha rinunciato al ricorso in appello. Sconterà la pena inflitta in primo grado dal Tribunale per i minorenni di Milano: 20 anni di reclusione, condanna massima prevista per il triplice omicidio con rito abbreviato.
LA RINUNCIA ALL'APPELLO
Riccardo Aveva 17 anni, quando, nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024, uccise con 108 coltellate padre, madre e fratello di 12 anni, nella villetta a Paderno Dugnano, nel Milanese, dove viveva. La sentenza, emessa il 27 giugno scorso, non aveva tenuto conto della perizia che aveva accertato un vizio parziale di mente, il legale di Riccardo voleva ricorrere in appello per ottenere uno sconto di pena. "Come avvocato, tenendo conto delle motivazioni della sentenza, dal punto di vista giuridico la difesa avrebbe proposto appello, perché errata sia per il mancato riconoscimento della semi incapacità, sia per la pena eccessiva in quanto erano state riconosciute le attenuanti generiche con criterio di prevalenza sulle aggravanti” ha dichiarato l’avvocato Amedeo Rizza.
CONTINUARE UN PERCORSO
Ma il giovane, che oggi ha 19 anni, ha scelto di non impugnare la condanna, "perché si sta rendendo conto di quanto ha compiuto” ha spiegato il difensore “e vuole espiare la sua colpa, continuare a curarsi nell'istituto minorile e iniziare un percorso universitario. "La difesa, -ha concluso l'avvocato - non può fare altro che rispettare la volontà del suo assistito".
LE MOTIVAZIONI DEL GIUDICE
Il termine per l'impugnazione in appello è scaduto il 4 novembre. A fine settembre, in 51 pagine di motivazioni, la giudice Paola Ghezzi del Tribunale per i minorenni aveva spiegato perché aveva deciso di condannare alla pena massima il ragazzo. Era "guidato", si leggeva nel verdetto, da "un pensiero travagante" e "bizzarro", ossia il "progetto" di raggiungere "l'immortalità attraverso l'eliminazione" della sua famiglia, come lui stesso ha raccontato. E quando ha compiuto in modo "spietato" quella strage, rimasta senza un vero movente, hanno influito sia le "alterazioni" della sua personalità, sia una "grossa dose di rabbia ed odio narcisistici, accumulati ad ogni frustrazione". Non aveva, però, alcun vizio di mente ed anzi "ha lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni, prima, durante e do??". E riguardo alla pena, aveva aggiunto il difensore, "pur riconoscendo la necessità di concedere le attenuanti generiche con criterio di prevalenza per mitigarla", alla fine il Tribunale "ha dato il massimo".



