White Lies, In Friends vi facciamo addirittura ballare, e non è un caso.
17 ottobre 2016, ore 11:37
agg. 29 marzo 2023, ore 12:14
La band inglese, che sarà in Italia a novembre, pubblica il quarto album "Friends" e rispedisce al mittente le critiche sulla svolta pop.
Dopo essere entrati nella TOP 5 inglese con i precedenti tre album ("To Lose My Life..." nel 2009, "Ritual" nel 2001 e "Big TV" nel 2013) i White Lies tornano con un quarto lavoro dal titolo "Friends" che, pur mantenendo il classico impianto ricco di synth apre verso melodie più luminose del solito. Abbiamo parlato con il bassista della band londinese, Charles Cave, di come sono maturati negli anni, di copertine e di tour (i White Lies saranno domenica 13 novembre all' Orion di Roma e lunedì 14 novembre al Fabrique di Milano).
Nell'ultimo lavoro, "Friends", sembra che il passaggio dalle atmosfere post-punk degli esordi a quelle più pop sia stato completato.
Credo che dal momento in cui abbiamo iniziato a scrivere la musica per il nostro album precedente, "Big TV" (2013), ci siamo interessati maggiormente alle melodie; questo ha portato il suono ad essere più solare rispetto ai primi due album che erano un po’ monotoni e sicuramente ha influito anche il cambiamento avuto dai nostri ascolti nel corso degli ultimi anni. Quando abbiamo fatto il primo album, nel 2009, ascoltavamo la musica indie che andava di moda in quei giorni, band come Arcade Fire ed Interpol, ora molta dell’ispirazione in fase di scrittura ci arriva maggiormente dai classici, da autori di metà anni ’70, che siano pop o rock da stadio . Tutto ciò credo si ritrovi in “Friends”, ad esempio in canzoni come Don’t Fall, brano conclusivo dell’album, con suoni che ricordano gli Steely Dan, molto soft rock. In passato non avremmo mai scritto cose del genere.
Tutto questo forse ha anche a che fare con il crescere, il maturare, l’aver perso la rabbia giovanile.
Di sicuro. Quando abbiamo cominciato a lavorare al nostro primo album avevamo 18-19 anni, persone completamente diverse rispetto ad ora che ne abbiamo circa 10 in più. Avevamo appena finito le superiori e, rispetto ad ora, quella è un’età nella quale tendi più a convivere con una sorta di "melodramma". Ora anche per quanto riguarda i testi cerchiamo di trovare maggiore distacco, con versi più semplici e ispirati a cosa succede intorno a noi, con più legami alla realtà. "To Lose My Life.." era forse più caratterizzato da uno storytelling grandioso, con un background quasi fantasy.
Leggendo in giro sul web, però, sembra che molti non lascino passare liscia questa svolta orecchiabile. Non pensi sia un po' stupido che nel 2016 ancora si facciano questi discorsi?
Non saprei, ma non siamo mai stati molto acclamati dalla critica, e del resto non facciamo musica per i critici; conosco i giornalisti e non sono davvero il tipo di persone per cui credo facciano musica i White Lies. Così come un pittore non credo direbbe mai “Sì, sto dipingendo i miei quadri per i galleristi”, sarebbe miserabile se facessimo musica solo per essere amati dai critici. Allo stesso tempo, credo che ai nostri fan il nuovo album abbia richiesto alcuni ascolti per farsi coinvolgere, non ne basta uno solo per potersi fare un’opinione, ci vorrà un po’. La questione è che amiamo fare musica in maniera genuina, che sia anche influenzata da molte band degli anni ’80, e siamo molto sinceri su questo. Sappiamo esattamente cosa vogliamo fare, non è accidentale e non parte da un desiderio di appartenere a questa o quella scena, siamo consapevoli di essere nel 2016. Certo, così facendo è molto facile che qualcuno possa accusarci di essere solo derivativi, dei copioni, ma io davvero non penso sia così, ma solo che siamo ispirati da quel sound, da quelle strutture. Quando abbiamo lavorato al disco non abbiamo mai ascoltato cose tipo i Tears And Fears, piuttosto ci siamo concentrati molto sulla musica Prog, tipo Yes, ma anche un sacco di soul e funk come Chaka Kan o Steely Dan e un sacco di musica più dura.
Citi il funk e sul disco, infatti, il ritmo è un elemento essenziale.
Assolutamente, e quello è stato intenzionale. Volevamo avere un paio di pezzi che la gente potesse addirittura ballare, non avevamo mai fatto una cosa del genere prima, e infatti molte delle cose che ascoltavamo erano, come ti dicevo, guidate dal groove. In fase di lavorazione ogni canzone è partita da una solida base ritmica, qualcosa che fosse immediatamente contagioso, sia che fossero batterie dritte, quasi da marcia, come in Morning in L.A. o Hold Back Your Love, anche se in modo diverso, sia che fossero più funk come Is My Love Enough? che ha ritmi quasi ballabili.
Un altro aspetto sul quale, credo, si sia lavorato molto, è quello dell'artwork con questo labirinto dai colori luminosi in copertina, ripreso anche nella versione interattiva sul vostro sito internet.
Abbiamo molto amato l’artwork del precedente album, "Big TV", quindi volevamo che anche in questo caso ci fosse qualcosa di molto colorato, quasi simile a un dipinto. Abbiamo passato molto tempo con gli art director e, dopo aver scartato molte opzioni, alla fine abbiamo trovato questa specie di labirinto che credevamo potesse essere la copertina di un album Prog anni '70, qualcosa tipo i Camel o i Rush e ci sembrava funzionasse molto. Non c’è dietro una sorta di idea o di concept e chiunque può vederci quello che vuole, ma semplicemente ci sembrava fosse una grande copertina. Per noi la cosa che viene prima è la scrittura, la giusta melodia è la cosa più importante, poi il testo che le viene scritto intorno, e solo successivamente la copertina. Sul nostro secondo album “Ritual”, secondo me, abbiamo fatto l’errore di voler concettualizzare tutto sin dall'inizio del lavoro, incluso l'artwork, e alla fine la copertina, per quanto potesse partire da un’idea figa, è davvero brutta.
Partite oggi per il vostro tour che a novembre vi porterà anche in Italia (il 13 all'Orion di Roma e il 14 al Fabrique di Milano ndr). Siete pronti? Cosa dobbiamo aspettarci?
Non so se si sia mai pronti a lasciare casa per cinque settimane e suonare quaranta show di fila, è una cosa molto strana da fare ma siamo prontissimi, anche dal punto di vista “atletico”. E’ dura, specialmente per Harry (McVeigh, frontman della band Ndr) che deve cantare per 90 minuti ogni sera, ma non vediamo l’ora. Ci siamo preparati imparando il maggior numero di canzoni di sempre e tecnicamente, se volessimo, potremmo suonare per tre ore di fila. Cercheremo di cambiare spesso la scaletta per rendere il tutto più interessante, ci sarà un utilizzo delle luci come sempre molto “drammatico”, e proprio perché le canzoni di “Friends” sono diverse ma suonano più positive sarà bello poter andare in tour poco dopo la pubblicazione dell’album, l’entusiasmo dei fan sarà freschissimo. Mi piace l’idea del pubblico che arriva al locale ascoltando il nuovo album in auto, imparando le parole a memoria per cantarle durante la sera, e che lo ascolta di nuovo sulla strada del ritorno