Coronavirus, professor Galli, i numeri delle vittime in Lombardia ci dicono che i contagiati sono molti di più

Coronavirus, professor Galli, i numeri delle vittime in Lombardia ci dicono che i contagiati sono molti di più

Coronavirus, professor Galli, i numeri delle vittime in Lombardia ci dicono che i contagiati sono molti di più


Nella regione più colpita si computano solo i casi più gravi, presumibilmente i positivi sono cinque volte superiori. Sconcertanti i morti di Bergamo

Il direttore scientifico dell’Ospedale Sacco di Milano, professor Massimo Galli, ha fatto il punto sulla situazione del contagio da coronavirus in Lombardia. Nella regione il tasso di letalità supera il 10%, quindi circa tre-quattro volte superiore a quello da cui si era partiti, guardando alla situazione in Cina. I fatti, spiega il professore, confermano come ci sia una quantità enorme di persone infettate, superiore al numero dei contagiati registrati ufficialmente. Bisogna partire dunque da questo dato e non da ipotesi di possibili mutazioni del virus. 

Sconcertante numero dei decessi a Bergamo 

Il professor Galli ha sottolineato come sia sconcertante il numero dei decessi, in particolare nei comuni di Bergamo e Nembro, rispetto a quanto ci si attendeva. Questo numero va inoltre decisamente al di là della cifra ufficiale di morti per coronavirus. “Verosimilmente i casi sono molti di più e ci sono persone probabilmente morte in casa per questa malattia, senza che siano stati sottoposti a un tampone”. 

L’estensione del fenomeno in Lombardia: i casi sommersi

I numeri negli ultimi giorni, seppur in maniera lieve, sono in calo e possono far ben sperare. Il professor Galli, nei giorni scorsi, ha comunque dichiarato che sarà necessario attendere almeno tre mesi. I due fattori da tenere in conto sono, innanzitutto, i numeri che riceviamo ogni sera. Questi ultimi sono indicativi soprattutto per quanto riguarda la Lombardia, che è la più grande contribuente a livello di casi. Sono riferiti a diagnosi fatte su persone che hanno una malattia conclamata e, di fatto, hanno sviluppato la polmonite, con una sintomatologia imponente. 



L’altro dato da considerare arriva dall’esperienza personale del professore. “Nel mio reparto abbiamo il 13% di decessi, la cosiddetta ‘fatality rate’ è pari o poco superiore a quella della Lombardia”. Si tratta però di un dato non mostruoso, specifica Galli, essendo migliore di quello registrato in Cina a parità di gravità. È un dato prevedibile in un centro ad alta specializzazione, in cui si concentrano i malati molto gravi.

Anche questo dato conferma il fatto che, in Lombardia, vengano computati unicamente i casi più gravi. Questo ci indica che il numero effettivo dei contagiati possa essere di almeno cinque volte superiore. I casi non registrati comprendono persone che, fortunatamente, non sono ammalate in maniera grave, sono a casa o magari in certi casi già guarite. Il dato però ci fa comprendere l’estensione del fenomeno e, guardando i numeri, è evidente quanto sia difficile fare delle proiezioni a lungo termine. 

Un parallelo con Wuhan, le tempistiche dell’epidemia

Tuttavia, confrontando questi numeri con quelli registrati in Cina a Wuhan e mettendo in parallelo le due epidemie, il professor Galli sottolinea come possiamo avere un’idea delle tempistiche. In Cina hanno cominciato ad effettuare misure restrittive ai primi di gennaio e stanno vedendo la fine soltanto adesso. In Italia i provvedimenti sono iniziati il 21 febbraio e sono diventati man mano più rigidi, seguendo la proiezione temporale potremmo “vedere la luce” verso fine maggio. 

Ipotesi di lavoro: alcune etnie più resistenti al virus 

Gli scienziati stanno cercando di trovare una spiegazione al fatto che gli africani siano poco rappresentati nelle casistiche di coronavirus. Si è tratto da alcuni dati disponibili, che sono ancora poco consistenti, l’ipotesi che possano avere un recettore meno favorente all’ingresso del virus. Ciò sarebbe chiaramente molto importante e molto utile, per evitare stragi anche nel continente africano. “Si tratta solo di un’ipotesi di lavoro, niente più di questo, al momento non abbiamo prove provate”, precisa in conclusione il professor Galli





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