Kurt Cobain tra mito e leggenda: trent'anni dalla morte dell'idolo del grunge
05 aprile 2024, ore 16:37
agg. 10 aprile 2024, ore 10:20
Il 5 aprile 1994 il leader dei Nirvana si suicidò nella sua casa di Lake Washington: "Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente", scrisse Cobain
Trent’anni tra mito e leggenda. La morte che pesa più della vita, l’eterno accostamento a Jimi Hendrix e Sid Vicious e il posto d’onore nel Club 27. L’8 aprile 1994 fu ritrovato il corpo senza vita di Kurt Cobain, ma l’autopsia ne stimò il decesso a tre giorni prima. Icona trasversale, fu dipinto come la voce della Generazione X, i disillusi figli dei baby boomer, ma trascese i tempi, arrivando fin nelle playlist della Gen Z.
KURT COBAIN, L’ICONA DEL GRUNGE
Gli anni d’oro del rock sono finiti, sorpassati dalla forza distruttrice del punk: a risollevarne le sorti, segnando uno spartiacque tra il prima e il dopo, è la London Calling che nel 1979 i Clash fecero risuonare per il mondo. Ma nel 1986 la favola della band di Joe Strummer si interrompe e i giovani della fine degli anni Ottanta hanno bisogno di nuovi idoli. E sulle ceneri dei Clash nascono gli Stiff Woodies, dall’incontro provvidenziale tra Kurt Cobain e il bassista Krist Novoselic: poco dopo, cambiano il nome del gruppo – a cui si aggiungerà, dopo vari cambi di formazione, Dave Grohl – in Nirvana: “Significa liberazione dal dolore, dalla sofferenza e dal mondo esterno e questo si avvicina al mio concetto di punk”, spiegò Cobain. Da Aberdeen, cittadina da 9.000 abitanti nello Stato di Washington, in pochi anni i tre arrivano in cima alla classifiche: con il loro secondo album, “Nevermind”, il capolavoro uscito nel 1991, scalzarono Michael Jackson dalla prima posizione. Da una serata con l’amica e cantante Kathleen Hanna, tra alcol e eccessi, nacque il pezzo più iconico della scena grunge di Seattle: la leader delle Bikini Kill prese una lattina di vernice spray e scrisse sul muro di casa Cobain “Kurt profuma di Teen Spirit”, riferendosi a un deodorante da pochi soldi di moda all’epoca che usava il musicista. Lei voleva prenderlo in giro, lui scrisse l’inno generazionale “Smells Like Teen Spirit”.
LA SCIA DI SANGUE A LAKE WASHINGTON
Lake Washington East, civico 171. Gary Smith, allora tecnico della VECA Electric, trovò lì il corpo esanime di Kurt Cobain, in quell’8 aprile 1994. Pensava dormisse, poi vide il fucile. Il leader dei Nirvana si era sparato un colpo in testa, lasciando a terra, infilzata da una penna, una lettera, il “testamento” del 27enne: “Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”, scrisse citando la frase che Neil Young aveva pensato per Sid Vicious. Il suicidio, stando al coroner, era avvenuto tre giorni prima, ma qualcosa in quella scena che Smith si trovò davanti non quadrava: il Remington calibro 20 distante dal corpo, l’assenza d’impronte di Cobain sull’arma e quella lettera che sembrava scritta per metà da Kurt e per metà dalla moglie, Courtney Love, a sua volta leader delle Hole. “Frances e Courtney, io sarò al vostro altare. Ti prego Courtney continua ad andare avanti, per Frances. Perché la sua vita sarà molto più felice senza di me. VI AMO. VI AMO”, chiosava. Teorie del complotto e piste lasciate cadere hanno segnato trent’anni in cui di Kurt Cobain si è parlato più della morte che della vita, artistica e terrena. La stessa vita che il leader dei Nirvana celebrò, nel suo modo imperfetto e spesso macabro, inevitabilmente condizionato dall’abuso di eroina, in quei testi capaci di trascendere le generazioni, eternamente incastonati in quel live Unplugged del 1993.