Penultima tappa del Giro d’Italia: dall’impronta invisibile dell’uomo a Verres a quella prepotente al Sestriere

Penultima tappa del Giro d’Italia: dall’impronta invisibile dell’uomo a Verres a quella prepotente al Sestriere

Penultima tappa del Giro d’Italia: dall’impronta invisibile dell’uomo a Verres a quella prepotente al Sestriere


La ventesima frazione della Corsa Rosa passa dalla Valle d’Aosta alle montagne piemontesi. La firma della famiglia Agnelli sulla vetta del Sestriere

Lo sfondo restano le Alpi, ma tra la partenza del Giro valdostano e l’arrivo piemontese, il panorama è molto diverso: si perde l’aspetto classico del paese di montagna e si trova quello più aggressivo di un agglomerato più simile al contesto cittadino, a grandezza molto ridotta.

LE TORRI DEL SESTRIERE

Il Sestriere è intrinsecamente legato al nome degli Agnelli. Durante un viaggio in Norvegia, nel 1928, il senatore Giovanni Agnelli , nonno dell’Avvocato, assistette alle discese su rudimentali sci di norvegesi che con la neve avevano più confidenza, uno sport ancora sconosciuto in Italia. Così, nel 1930, il fondatore della Fiat decise di investire sullo sport invernale ed acquistò tutti i terreni del Colle, a 40 centesimi di lire (circa 20 centesimi di euro) al metro quadrato per costruire impianti sciistici e strutture ricettive. Dopo solo otto mesi l’albergo «Hotel Torre» fu terminato ed accolse i primi ospiti. Un anno dopo, nel 1933, ancora in soli otto mesi, venne costruita una Torre ancora più grande e spaziosa, chiamata «Hotel Duchi d’Aosta» sul cui tetto c’era anche una pista di atterraggio per elicotteri molto utilizzata, in seguito, dal nipote Gianni. Le due torri (rossa e bianca) che dominano lo skyline sono diventate il simbolo del paese. Con l’idea di dar vita a un’esclusiva località per praticare la nuova attività sugli sci e con lo scopo di fornire un luogo di vacanza per i lavoratori dello stabilimento Fiat di Torino. I due cilindri sono visibili da lontano, e non hanno l’ambizione di integrarsi con il paesaggio o rispettarne le usanze architettoniche, anzi, svettano tra i monti e sono la firma della famiglia degli industriali italiani per eccellenza.

IL CASTELLO DI VERRES

Costruito nel XIV su un picco roccioso che domina il sottostante borgo, è un monolito maestoso, un monoblocco cubico edificato per volere della famiglia Challant, una delle più prestigiose casate dell’intera Valle d’Aosta. Siamo di fronte a un cubo compatto, che enfatizza la funzione militare, semplice e severo, e forse anche in questo sta il suo fascino. Rivestito completamente in pietra, si vede solo quando il suo profilo si staglia su uno squarcio di cielo tra i monti. Quando la prospettiva lo schiaccia sul fianco della montagna, diventa invisibile. La sua possanza è espressa anche dalla capacità di mimetizzarsi con il paesaggio. Alla morte di Renato di Challant, l’ultimo della discendenza, senza eredi di sesso maschile, il castello venne incamerato dai Savoia. Gli Challant riottennero il possesso della rocca nel 1696 e lo mantennero fino all’estinzione della casata, ai primi del XIX secolo. A quell’epoca il castello era abbandonato da quasi due secoli: il tetto, già in parte crollato, era stato demolito del tutto per evitare il pagamento del canone erariale, così che i piani superiori erano esposti alle intemperie e invasi dalle erbacce. Il salvataggio di questo castello, come per quelli di Issogne e di Fénis, si deve all’interesse di un gruppo di intellettuali piemontesi accomunati dalla passione per il Medioevo.


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