#CinemaScoppio, Escobar (Paradise lost)

#CinemaScoppio: Escobar (Paradise lost)

#CinemaScoppio: Escobar (Paradise lost)


Oramai è un dato di fatto: l'ex Imperatore del narcotraffico sudamericano, affascina (e non poco)

Pablo Escobar. E chi non conosce questo nome? Ancora oggi la Colombia è divisa su chi lo incensa come un eroe nazionale e chi invece un sanguinoso criminale (cosa sui cui decisamente mi sbilancerei). In tutti i casi è vero che è stata una cesura netta per la storia del Paese, rafforzando poi la strenua lotta alla criminalità che ancora oggi si combatte.
La figura di Escobar ha sempre affascinato per vari motivi: dapprima perché è stato una delle poche persone ad accentrare su di sé un potere tale, che pochi fino ad allora erano riusciti ad avere. Certo, escludendo dittatori vari, ma quasi sempre eletti sotto regolari elezioni. In seconda istanza è stato proprio questo elemento ad attirarsi la simpatia di molti: giocare da outsider contro il governo e parlare alla pancia del Paese (ok, se state notando dei punti in comune con Trump, non è colpa mia). Inoltre quella di Escobar è un’ottima storia di riscatto degna della miglior sceneggiatura hollywoodiana: da una famiglia di contadini poveri e indebitati a multi-miliardario e temuto criminale di fama internazionale. Capite da soli che anche il più ottuso degli sceneggiatori, ci vedrebbe dietro una storia su cui scrivere.

Tuttavia non si tratta di un biopic (chiamasi così i film-biografia sulla storia di un personaggio famoso). L’intuizione giusta di Di Stefano è stata proprio questa: non aggiungere alla sezione “narcotraffico” un’altra biografia, ma piuttosto vedere il potente Pablito sotto un altro punto di vista.
Questo ci viene fornito da Nick. Un canadese trasferitosi col fratello in Colombia sul finire degli anni ’80, per fare la vita da surfer sulle spiagge colombiane. Se non che, capita il colpo di fulmine con quella che poi scoprirà essere la nipote di Escobar, fatto che andrà a minare profondamente il rapporto col fratello Dylan.
Il film si muove avanti e indietro su un binario temporale di quattro anni. Gli ultimi che hanno visto Escobar trionfare, fino a che nel ’91, non c’è stato il suo arresto e reclusione in quella che si può chiamare letteralmente una prigione dorata (fu una pantomima non da poco col governo colombiano, il quale veniva ancora tenuto in scacco da Escobar).

La storia si sviluppa mano a mano in una corsa contro il tempo di Nick per salvare se stesso, la propria compagna e la famiglia del fratello, dalle mani di Pablo Escobar.

Era da tempo che stavo curando questa pellicola, anche perché ha avuto un percorso strano. Il film infatti era pronto per le sale già da due anni, ma è sempre stato tenuto nel famoso cassetto della distribuzione, non si sa bene per quale motivo. È stato presentato a Toronto nel settembre 2014 e distribuito in Francia già dal novembre dello stesso anno. Come mai tanto ritardo da noi? Tuttalpiù dal momento in cui si tratta di un film girato da un regista italiano, trapiantato negli USA da diversi anni.
Da questo punto di vista è inevitabile il confronto con la fortunata e lodata serie made in Netflix, che dallo scorso autunno impazza sulla loro piattaforma. [Narcos tornerà con la seconda stagione dal 2 settembre, NdR]. E secondo me è anche alla base di questa ritardataria distribuzione. Il successo della serie, ha fatto pensare bene ai distributori di cavalcare l’onda proponendo un film sullo stesso personaggio.

I distinguo che sono da fare con la serie televisiva (che poi televisiva non è), sono molti: quella è una serie biopic, per l'appunto, mentre questa è una storia parallela a quella di Escobar. Essendo la prima una serie, quindi fondamentalmente con più minutaggio a disposizione, si sviluppa in maniera lineare: dagli albori di Escobar fino alla fine. Insomma l’unica serie, quella targata Netflix, senza spoiler. Rimane molto sul personaggio, a differenza del film di Di Stefano che invece per parlarne si avvale di un Eroe esterno. C’è anche un terzo aspetto che mi sento di valutare: la serie riesce in qualche modo a umanizzare, forse più del dovuto, il personaggio di Escobar, giocando molto di più con le luci e le ombre di quella persona, rispetto invece a quanto faccia il film.
Infine un rapido raffronto tra i due attori che interpretano Escobar, dato che è la prima cosa che fanno in molti dopo aver visto serie e film: Benicio Del Toro per il film e Wagner Moura per la serie. Secondo me semplicemente non ha molto senso. Sono due attori che hanno interpretato magistralmente il personaggio, ognuno a modo suo, con le proprie sfumature: Moura come già detto in maniera più "understatement", Del Toro più prosaica.
Ma torniamo rapidamente al film, tracciando una conclusione di massima. La pellicola in definitiva funziona, anche se a onor del vero non ti fa strappare i capelli dal vedere come andrà a finire; cosa che a me è successa per la serie tv. L’espediente narrativo del personaggio esterno di Nick va bene, ma rischia di essere una lama a doppio taglio: allontanarsi troppo dalla storia di Escobar per raccontarne una fittizia, con un finale in salsa melò che mi ha lasciato un poco perplesso.

Sicuramente il film è incompleto per quel che riguarda la storia del Re del Cartello di Medellin. Se uno spettatore non ha già di suo un’infarinatura generale su Escobar, difficilmente capirà cosa stava succedendo dietro le quinte di quel periodo storico o più semplicemente perché Escobar è diventato QUEL Escobar. Ma forse non era nemmeno questa l’intenzione del film di Di Stefano.
Un altro elemento che mi ha trovato poco complice, è stata la scelta della narrazione d’immagine che il regista ha dato a questa pellicola. La maggior parte sono primi piani con macchine da presa in perpetuo movimento, che vanno così a dettagliare poco il contesto che c’è attorno alla scena ma tengono un fuoco molto serrato sui personaggi. È una narrazione stilistica che ho trovato un po’ fuori luogo per questo tipo di film.

Vale la pena vederlo? Se vi appassiona la storia di Escobar sì, proprio perché esce un attimo dai binari di questa e ci dà la prospettiva della storia da un altro punto di vista. Nel caso contrario, non credo possa dare suggestioni particolari.


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