Cosa ci raccontano le "parole dell'anno"

Cosa ci raccontano le "parole dell'anno"

Cosa ci raccontano le "parole dell'anno"


Secondo i lessicologi, i termini che vengono selezionati dagli editori come “parole dell’anno” riflettono quella che è stata la percezione dell’anno appena concluso, ma non solo...

La tradizione d’individuare i termini “vincitori” perché rappresentativi, o perché inseriti per la prima volta nei dizionari, inizialmente era pensata per riassumere una tendenza significativa o un sentimento che rappresentasse il sentire comune, col tempo, però, sta diventando sempre più una competizione per mettere in risalto lo slang più innovativo e modaiolo, dando ampio spazio a termini che magari non rappresentano la sensazione predominante ma, piuttosto, hanno un peso social(e).

VINCE IL TREND

Si comincia dunque con “brat”, coniato dall’artista Charli XCX ed applicato alle donne spericolate e vivaci, scelto da Collins, per poi passare a “manifest” cui, invece, ricorrono spessissimo gli influencers per "desiderare intensamente qualcosa e farlo accadere" in questo caso scelto da Cambridge. Oxford, più democratico, ha optato per un sondaggio che ha decretato vincitrice l’espressione “brain rot” cioè il risultato intorpidente dello scrolling e dell'ossessione online e “slop” (contenuto di bassa qualità prodotto dall'intelligenza artificiale) al secondo posto. Al termine dell’elenco compare “demure” quasi contraltare del termine di apertura, “brat”, usato ironicamente per promuovere una posa o un atteggiamento più dignitoso, moderato, da parte di qualcuno che però, in ogni caso, si espone.


GEN Z E GLI ALTRI

Il lessicologo Tony Thorne, direttore dell'archivio di slang e nuove lingue al King's College di Londra, ha osservato come queste scelte siano in grado di mostrare il cambiamento della società, ma –anche- come la natura stessa delle parole spesso evolva in maniera inaspettata.
I termini di moda che si affermano come “parole dell’anno”, infatti, sono spesso individuati (com’è intuibile che sia) dalla fascia demografica più giovane, in particolare dalla generazione Z. Gli osservatori più anziani potrebbero, quindi, provare a cogliere il significato dei nuovi termini coniati e fallire miseramente, storpiandone il senso, perché distanti dalla loro realtà, tanto più quando questi non definiscono necessariamente fatti, azioni o processi ma, piuttosto, una sensazione o un microtrend che difficilmente potrebbe essere descritto a parole.
L’origine di queste parole, infatti, è spesso da ricercare nei “meme” quei contenuti, diffusi viralmente, che incorporano immagini e suoni e che in pochi secondi sono in grado d’inserire l’osservatore in un contesto ben preciso.


COSA NE PENSANO I GIOVANI?

La rivista Dazed, gestita quasi interamente da Millennials e Gen Z, non ritiene soddisfacenti le scelte degli editori sottolineando come la novità principale dell'anno, infatti, non sia una parola, ma il suffisso: -maxxing, che significa massimizzare, migliorare o esagerare la propria persona e viene aggiunto ad un sostantivo o verbo per accentuare espressioni d’uso comune.
Tuttavia le parole dell'anno non devono necessariamente essere novità, ma possono essere anche parole già esistenti che, d’un tratto, diventano particolarmente appropriate o risonanti (vogliamo pensare ai “congiunti” in periodo Covid?)


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