Dategli una pizza! Intervista ai Manchester Orchestra

Dategli una pizza! Intervista ai Manchester Orchestra

Dategli una pizza! Intervista ai Manchester Orchestra


Testimonianza di un concerto estivo per far sì che l'estate rimanga un po' viva dentro di noi

Un'intervista in una calda giornata di agosto e vedere un piccolo sogno (mio) che si realizza. Senza doverli inseguire per mezza Europa come faccio di solito. Quest'estate si sono esibiti al Circolo Magnolia di Milano per la loro prima e unica data italiana, i Manchester Orchestra. Tutt'altro che sconosciuti negli Stati Uniti e nel Regno Unito, sono sempre rimasti in sordina nel resto del vecchio continente. Ora finalmente sono approdati in Italia per presentare il loro ultimo lavoro: Cope.
Il gruppo capitanato da Andy Hull, ha presentato un anno fa in Europa l’album, all’O2 Shepherd’s Bush Empire, a Londra. Che concerto, signori! Lo ammetto e mi piace farlo: non mi considero un loro fan, bensì un hooligan a tutti gli effetti. Non potevo farmi scappare la ghiotta occasione di intervistarli quest’estate quando sono venuti per la prima volta “ad assaggiare una vera pizza!". Li incontriamo nel backstage del Magnolia, appena terminato il loro soundcheck. Andy e Robert McDowell (chitarra), ci raggiungono. Il primo con barba lunga e capelli corti, mentre il secondo sembra uscito dritto dall’era grunge, ma con una Coca Zero in mano. Sembrano un po' spaesati, probabilmente l’Italia ha un impatto quasi letale per i neofiti.

In Italia solo dopo il quarto album. Come mai?
Una domanda che non ci ha ancora fatto nessuno! (ride) Erano anni che pianificavamo di venire e continuavamo a dirci: “L’anno prossimo lo faremo, l’anno prossimo lo faremo…” e finalmente l’anno scorso abbiamo detto: “facciamolo!” e così eccoci qua.

Il vostro nome e le vostre prime influenze sono sicuramente di stampo british, ma voi siete della Georgia, uno stato del sud degli States. In questo momento del vostro percorso musicale vi sentite più vicini ai suoni americani o quelli inglesi?
Direi tutti e due. Però in definitiva credo che siamo più vicini a un sound americano, ma questo è abbastanza automatico in realtà. Le nostre influenze primordiali attingono esclusivamente dal rock americano, per questo motivo direi che il nostro percorso ora tende più a quelle influenze.

Cope cambia molto, come suono, rispetto agli album precedenti. Come mai?

Abbiamo sempre cercato di variare da album ad album. Vogliamo che la gente senta sempre una versione diversa della band da quella precedente. Credo che tutto questo percorso possa spingere il pubblico a voler sentire suoni sempre diversi e quindi spingere poi noi a produrli e suonarli.

Vedete già una strada in cui si evolverà il vostro suono per i progetti futuri?

No, non ne abbiamo ancora la minima idea! (ridono)

Nei vostri testi sembra ci sia spesso un sottotesto, di cui è difficile la comprensione. È così oppure sono semplicemente no sense come quelli degli Oasis?
Quando scrivo i testi, parto sempre dallo scrivere qualcosa che reputo io per primo interessante. Prima forse dovrei precisare che mi piace ascoltare band i cui testi mi fanno pensare: sia a quello che alludono che più in generale su quell’argomento di cui parlano. Però credo che sia molto bello quando viene qualcuno da me e mi dice il senso che ci ha trovato lui dietro quella canzone. Sono per l’interpretazione aperta dei testi, credo sia parte fondamentale di una canzone.

Come mai l'idea di una versione acustica dell'ultimo album?
Perché è l’album più hard rock e pestato che abbiamo finora prodotto e dato che ci piacevano molto le canzoni, abbiamo pensato: perché non farle arrangiate completamente all’opposto?

Qual è la differenza più evidente tra il suonare in America e in Europa?
Robert: non lo sappiamo ancora! O meglio, finora abbiamo suonato una volta in Germania e qualche volta in Inghilterra, ma lo stiamo per scoprire. Andy: Ho in mente un paio di differenze tra l’Inghilterra e gli States, ma ve le dirò con più certezza la prossima volta che ci vediamo.

Che idea avete dei talent musicali? Aiutano davvero nella caccia dei talenti oppure affossano solo la musica per un fine commerciale?
Andy: Non saprei… Sicuramente c’è gente con un grande talento che viene scoperta proprio grazie a questi programmi, quindi non mi metto sicuramente a giudicarli. Però ho sempre apprezzato chi si fa un mazzo e lavora duro negli anni, senza cercare il colpo di fortuna da qualche parte. Robert: secondo me dipende esclusivamente da come i concorrenti si approcciano a questi talent. C’è chi vuole solo fare soldi e chi invece ricerca… un’arte. Andy: Sì, ad esempio Kelly Clarkson, che ha vinto il primo American Idol, ha poi continuato a fare dei dischi davvero fighi, anche se molta gente non ne ha sentito più parlare.

A proposito di altri mezzi di espressione. Molti dei vostri brani sembrano scritti apposta per il cinema. È un caso oppure capita che prendiate spunto da film che vedete o situazioni cinematografiche che vi piacciono?
Siamo influenzati molto dai film. Direi che è la nostra seconda fonte d’ispirazione dopo la musica stessa. Ci piace poter suggerire al nostro pubblico, tramite le nostre canzoni, delle specie di visioni cinematografiche, che possano ispirar loro ulteriormente. Vogliamo creare brani che sembrino film.

Cosa avreste fatto nella vita se non foste musicisti?
Avrei lavorato nell’industria del cinema! (ride) No, credo non avrei potuto fare altro…

Siete riusciti a mangiare una vera pizza italiana e non quella schifezza che fanno in America da Pizza Hut?
La differenza l’abbiamo imparata ieri sera, e anche molto in fretta! Questa è senza dubbio una pizza di altro livello, un “mai più senza”. Quando torneremo a casa, lo diremo a tutti!

Grazie a Monica Crespiatico e Emanuele Trezzi per il supporto all’intervista.

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