Matteo Renzi a RTL 102.5: “Nobel a Trump? Sono un suo critico ma riconosco che senza di lui non ci sarebbe stato l’accordo”

Matteo Renzi a RTL 102.5: “Nobel a Trump? Sono un suo critico ma riconosco che senza di lui non ci sarebbe stato l’accordo”

Matteo Renzi a RTL 102.5: “Nobel a Trump? Sono un suo critico ma riconosco che senza di lui non ci sarebbe stato l’accordo” Photo Credit: ANSA


Matteo Renzi interviene a RTL 102.5

Matteo Renzi interviene a RTL 102.5 per commentare gli ultimi avvenimenti di attualità. All’interno di “Giletti 102.5”, in compagnia di Massimo Giletti, Luigi Santarelli e Barbara Sala.


ACCORDO DI PACE O DI TREGUA?

«È di pace, ma la pace per essere costruita ha bisogno di tempo. È un fatto storico enorme e per la prima volta c’è davvero una prospettiva, poi gli inciampi sono ad ogni angolo, però è un fatto enorme: c’è l’America, ci sono i Paesi Arabi, Israele con gli estremisti messi ai lati, Hamas che sarà disarmato. Io sono molto ottimista, anzi no, sono commosso profondamente ed emozionato. Io comunque ho una certa età e per dieci anni ho visto un continuo riferimento alla crisi palestinese alla crisi della Terra Santa e stavolta è la prima volta in cui ci sono veramente tutte le condizioni per farcela. Speriamo che la parola “shalom”, ovvero “pace”, possa risuonare con due popoli e due Stati. I bambini di Gaza hanno diritto a crescere nei parchi e non nei tunnel e i bambini di Tel Aviv idem».


NUOVI LEADER PER RAGGIUNGERE UNA PACE CONCRETA

«Il passaggio interno alla democrazia israeliana sarà molto complicato, perché in questi anni di guerra si è messo un po’ in secondo piano anche il dibattito interno. Lì c’è una situazione d tensione: l’estrema destra non vuole l’accordo e un paio di ministri hanno votato contro, però quello che è certo è che il percorso è tracciato. Quando hai la cintura di sicurezza degli Stati Uniti, il piano nasce da Tony Blair e quando Trump decide di metterci il carico, a quel punto i Paesi Arabi (Doha, Abu Dhabi, Riad, Il Cairo ma anche Istanbul) decidono di starci sopra, lì non c’è strada per nessuno. Quelli di Hamas che vogliono tirarsi indietro, perché oggi è evidente che gli estremisti islamici sono meno forti, l’Iran è meno forte, Hezbollah è praticamente distrutto, né dall’altro lato gli estremisti del governo israeliano».


L’AMBIGUITÀ DEI PAESI ARABI

«Nessuno ha la palla di vetro, io penso che assolutamente usciranno dalle ambiguità, anche perché in quella zona ci sono dei nuovi leader quarantenni. Il primo ministro del Qatar, che ha mediato l’accordo, è dell’80, il Grand Prince dell’Arabia Saudita è dell’85, l’emiro del Qatar è dell’80. C’è una generazione nuova, di persone che si sono formate nelle università anche occidentali e che hanno voglia di una politica moderata e rifornita. Per questo che io, e venivo preso in giro 5 anni fa, dicevo che bisognava scommettere su questa nuova generazione di leader arabi. Poi c’è Israele, che era l’unica nazione, chiamata anche “Start-up Nation”, che ha visto in questi ultimi due anni un’estremizzazione devastante, con un ministro che voleva strangolare i bambini. Noi siamo in una fase in cui questa è la vittoria della politica, la politica quella vera, non il chiacchiericcio a cui, a volte, diamo spago anche noi. È quella politica che di fronte al disastro trova le soluzioni e io sogno che la stessa situazione di compromesso, difficile ma per finire una guerra ci vogliono i compromessi, ci sia anche in Ucraina con la Russia».


IL PREMIO NOBEL A TRUMP

«Lui è ossessionato dal Nobel, perché lo ha avuto Obama e gli altri no e questa è un tema abbastanza adolescenziale. Però, io che sono un critico di Trump, ieri ho chiesto in Parlamento al ministro Urso “Sui dazi scellerati di Trump, che fai?”. Io attacco Trump, non sono d’accordo con Trump, però non sono nemmeno così ossessionato dai miei avversari da non riconoscere che se non ci fosse stato Trump, questo accordo non lo avrebbero fatto. Poi aggiungo Blair, aggiungo Kushner, aggiungo gli arabi, ma Trump ha messo tutto il peso».


COME CRESCERANNO I BAMBINI SOPRAVVISSUTI A GAZA?

«Questo è un tema che vale sempre nella ricostruzione. Io ho cinquant’anni e ricordo la discussione dei bambini tra la Croazia e la Serbia, quando, a metà anni ’90/fine anni ’90, ci fu quello che tutti noi ricordiamo nell’area dell’ex Jugoslavia. La ricostruzione di un Paese passa anche dall’educazione e credo che valga anche per i Paesi non toccati dalla guerra, ma a maggior ragione quelli toccati dalla guerra. La vera priorità è l’educazione, l’educazione al dialogo, la scuola, l’idea di far crescere sentimenti di condivisione. È difficilissimo, perché facile a dirsi, quando poi ti hanno ammazzato mezza famiglia, è difficile a farsi, però questa è una grande scommessa di nuovo, di una politica con la P maiuscola. Io vorrei che lo pensino anche i nostri ascoltatori e che apprezzassero il fatto che in dei momenti, la politica può fare la differenza, perché anche sulla storia di Gaza, dell’Ucraina e tutto il resto, ci sono degli slogan ideologici di gente che nono conosce minimamente la politica estera. Mi ricordano quelli che facevano finta di fare i virologi durante il Covid o i commissari tecnici durante i mondiali di calcio. La politica estera è una cosa complicata e spero che la politica investa sull’educazione alla pace».


ITALIA, PIAZZE PIENE PER LE MANIFESTAZIONI

«Un po’ in tutto il mondo c’è una nuova aria di partecipazione, però in quelle piazze ci sono, nella stragrande maggioranza persone meravigliose e pacifiche che vogliono dire “Io non ci sto alle immagini che vedo in tv” e meritano rispetto. Poi ci sono alcuni che spaccando le vetrine o assaltando le stazioni, in qualche modo fanno danno alla causa che vorrebbero difendere, quindi noi dobbiamo esser, ancora una volta, capaci di distinguere, e questa è la politica, tra le tante persone quelli che vogliono la pace e chiedono la pace e denunciare tutti insieme i violenti. Io sono stato scout e sono stato alle manifestazioni in piazza quando ero giovane, ma chi fa politica non può limitarsi alla manifestazione. Se noi paghiamo dei parlamentari, dei rappresentanti e dei ministri, questi devono trovare delle soluzioni. Ecco perché io sono contento dell’accordo di pace, perché con le manifestazioni di esprime indignazione e un grido dal cuore. Io per come conosco la questione, erano sei mesi che stavano su quell’accordo lì e non credo che siano state le piazze ad aiutare, ma credono che abbiamo aiutato i cittadini a non essere delle amebe. È bello che ci sia questa attenzione e mi piacerebbe che ci fosse anche sul mondo cristiano in Nigeria o in Sudan».



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