Svolta nel caso Zilani, arrestate due figlie e il fidanzato della maggiore per l'omicidio dell'ex vigilessa

Svolta nel caso Zilani, arrestate due figlie e il fidanzato della maggiore per l'omicidio dell'ex vigilessa

Svolta nel caso Zilani, arrestate due figlie e il fidanzato della maggiore per l'omicidio dell'ex vigilessa


Secondo il Gip i parenti coinvolti avrebbero ucciso l'ex vigilessa per appropriarsi del suo ingente patrimonio.

Un caso di cronaca particolarmente articolato che sembra arrivato finalmente a una svolta significativa: Laura Ziliani, l’ex vigilessa di Temù (in provincia di Brescia) scomparsa l’8 maggio scorso e ritrovata morta l’8 agosto, sarebbe stata uccisa e gli investigatori hanno individuato nelle due figlie della donna e nel fidanzato della maggiore i possibili responsabili del delitto. I reati contestati sono omicidio volontario aggravato dalla relazione di parentela con la vittima e occultamento di cadavere.

Il Caso

Sin dal primo momento in cui la vittima era scomparsa, gli inquirenti erano rimasti perplessi dalle versioni raccontate dai parenti. Secondo quanto riferito in primo luogo da Silvia e Paola Zani (figlie), 27 e 19 anni, e Mirto Milani (compagno della maggiore), la mattina dell’8 maggio la Ziliani era uscita di casa intorno alle 7:00 per fare una passeggiata nella frazione di Villa Dalegno. La donna era attesa di nuovo a casa intorno alle 10:00 per poi andare con le figlie nella discarica locale a gettare alcuni materassi; alle ore 12:00 l’ex vigilessa non aveva ancora fatto ritorno. Era stato allora che le due figlie avevano deciso di chiamare il 112 per segnalare la scomparsa, attivando così l’intervento di un vasto dispositivo di soccorritori (carabinieri, soccorso alpino, vigili del fuoco, volontari), impegnati a controllare minuziosamente la zona della presunta scomparsa, senza tuttavia rinvenire il corpo.

I dubbi degli inquirenti

L’ipotesi suggerita dai sospettati – subito messa in discussione dagli investigatori – era un malore avuto dalla donna durante la passeggiata. A far insospettire i carabinieri una serie di elementi che non corroboravano la versione proposta: in primis, il luogo del ritrovamento di una scarpa che la donna – a detta delle figlie – indossava la mattina della scomparsa e del jeans femminile rovesciato, anch’esso appartenuto alla vittima. Entrambi gli oggetti si trovavano infatti nel torrente Fumeclo, un punto incompatibile con la direzione che avrebbe intrapreso la signora Ziliani. A questi elementi si è poi aggiunta la seconda scarpa che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe stata posizionata proprio dagli odierni arrestati al fine di depistare le attività investigative. A tradire la versione fornita dai sospettati, anche il rinvenimento del telefono cellulare, oggetto da cui la donna era solita non separarsi mai, trovato sotto una panca in cantina. Inoltre, anche la fretta con cui le figlie si sarebbero precipitate a dare l’allarme, dopo solo due ore di assenza della madre, aveva contribuito a far crescere i sospetti.

Vista la fragile tenuta logica della ricostruzione dei fatti proposta dai parenti della vittima, i carabinieri si erano subito attivati per avviare indagini parallele alle ricerche, con attività di intercettazione, analisi di tabulati, sopralluoghi e con l’analisi forense di smartphone e computer.


Il ritrovamento del cadavere e le intercettazioni

A smentire definitivamente la versione offerta dagli odierni arrestati, le analisi del medico legale sul corpo della donna. Il cadavere, infatti, era stato rinvenuto nei pressi della pista ciclabile di Temù nella giornata dell’8 agosto da un bambino che aveva notato il corpo in stato di decomposizione, nascosto tra rami e foglie.

La donna indossava solo canottiera e slip. In un primo momento era stata riconosciuta grazie agli orecchini in oro giallo e da una cisti presente sul piede destro. Solo dopo, grazie al test del DNA e all’autopsia si era arrivati ad accertare non solo l’effettiva identità del cadavere, ma soprattutto altri due elementi: il corpo non presentava lesioni esterne e nemmeno tracce compatibili con una lunga permanenza in acqua. Piuttosto, l’ipotesi investigativa è che possa essere stato occultato in un ambiente le cui caratteristiche hanno rallentato il processo di trasformazione e decomposizione.

Le responsabilità dei presunti assassini sono diventate ancora più evidenti una volta analizzate le intercettazioni. Come scritto da Alessandra Sabatucci, Gip del Tribunale di Brescia, nell'ordinanza di custodia cautelare: "Il proposito omicidiario è il frutto di una lunga premeditazione e di un piano criminoso che ha consentito loro di celare per lungo tempo la morte e di depistare le indagini". In particolare, l’omicidio sarebbe stato commesso per appropriarsi del patrimonio della donna. Le due sorelle “Si congratulavano l'un l'altra per i soldi che di lì a breve avrebbero incassato, riuscendo a dare un anticipo per una nuova vettura e probabilmente e anche ad andare in vacanza“, scrive il Gip.


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