Venezia 80, Finalmente l'alba: il racconto onirico di una Babylon sul Tevere

Venezia 80, Finalmente l'alba: il racconto onirico di una Babylon sul Tevere

Venezia 80, Finalmente l'alba: il racconto onirico di una Babylon sul Tevere Photo Credit: Agenzia Fotogramma.it


Saverio Costanzo torna al Lido con una pellicola ambientata all'ombra della Cinecittà degli anni ‘50

L'Italia in concorso, ieri, alla terza giornata della Mostra del cinema di Venezia. Torna al Lido Saverio Costanzo con il suo Finalmente l'alba, film che mette in scena il bigottismo dell'Italia degli anni ‘50 all'ombra degli studios di Cinecittà. La pellicola si apre con la dedica alla memoria di Maurizio Costanzo, padre del regista.

LA TRAMA DEL FILM

Un viaggio quasi onirico nella notte romana, sulle tracce sbiadite del delitto Montesi, primo vero caso mediatico che sconvolse il nostro Paese in quel lontano 1953. La giovanissima Wilma Montesi fu ritrovata morta per annegamento sulle spiagge del litorale romano, con tanti misteri nascosti sotto la sabbia. Un omicidio che ebbe grande rilievo soprattutto a causa del coinvolgimento di numerosi personaggi di spicco della politica dell'epoca.

Il film cita esplicitamente il fattaccio, pur raccontando la storia di Mimosa, una giovane ragazza che accompagna la sorella ad un provino nei teatri di posa di Cinecittà. Dopo essere stata notata da una star americana, rimane intrappolata nel turbinio della mondanità romana, passando una notte che le cambierà la vita.


ANNI 50, TRA CINEMA E ITALIA

Una Babylon sul Tevere, o almeno lo vorrebbe essere. Soprattutto nell'ultima parte, Finalmente l'alba cerca di mettere in scena la Hollywood di Babylon, riducendo gli eccessi e asciugando la storia dargli orpelli virtuosi e creativi che avevano caratterizzato la pellicola di Damien Chazelle (quest'anno per altro presidente di giuria a Venezia)

Costanzo realizza un film che prova a rievocare le atmosfere dell'Italia del secondo dopoguerra, intessendo nella narrazione anche una carrellata di citazioni ai generi cinematografici che hanno reso grande il nostro cinema in quegli anni. Il film si apre con una sequenza in perfetto stile neorealista per poi cambiare i connotati e diventare una commedia anni ‘50 sulla falsariga di Bellissima di Luchino Visconti. Improvvisamente arriva anche una (bella) scena dove il regista gioca con le regole e gli stilemi tipici del cosiddetto Peplum, quel tipo di cinema ispirato alla mitologia o all'antichità classica. Poi, dopo una prima parte buona e anche piuttosto riuscita, il film si perde nelle sue stesse peregrinazioni, mettendo tanta carne al fuoco ma dimenticandosi di cucinarla a dovere. L'andirivieni di rimandi ai generi cinematografici era un buon espediente che si poteva continuare a sfruttare, ma ad un tratto viene abbandonato.

Quel delitto Montesi raccontato come un incubo, non viene mai veramente approfondito e il parallelismo che si crea con il caso di cronaca e la storia che la protagonista si trova a vivere, viene risolto con troppa superficialità.

Troppe idee che confluiscono in un finale pretenzioso e fuori fuoco. È come se, nel raccontare e girare, Costanzo si fosse perso senza più ritrovare la strada.



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