
Omicidio Chiara Poggi: tutto quello che sappiamo sul caso
11 marzo 2025, ore 18:30
Il delitto di Garlasco, tutte le tappe dell’omicidio di Chiara Poggi
C’è un nuovo indagato per l’omicidio di Chiara Poggi. È stato notificato un avviso di garanzia ad Andrea Sempio, l’amico del fratello della ragazza che all’epoca dei fatti era poco più che diciottenne. Il nome non è nuovo agli inquirenti in quanto Sempio era stato già indagato tra il 2016 e il 2017 dopo il ritrovamento del DNA del ragazzo sotto le unghie di Chiara Poggi. Le accuse erano poi decadute e quindi archiviate dall'allora Procura di Pavia guidata all'epoca da Mario Venditti. Il nuovo avviso di garanzia arriva grazie ad una nuova indagine sul Dna sviluppata con metodi e tecniche di ultima generazione. Nell'avviso di garanzia l'accusa contestata è omicidio in concorso con ignoti o con Alberto Stasi.
IL DELITTO
È il 13 agosto del 2007. A Garlasco, nelle campagne della provincia di Pavia, in via Giovanni Pascoli 8, sorge una villetta bianca a due piani. Il sole è alto e la temperatura supera i 30 gradi, quando, alle 13:50 e 24 secondi, Alberto Stasi chiama il 118. Nella telefonata, riferisce di aver bisogno di un'ambulanza perché pensa che «sia stata uccisa una persona», anche se non ne è certo, dicendo che «forse è ancora viva». Aggiunge che sta per recarsi alla caserma dei carabinieri. La persona in questione è la sua fidanzata, Chiara Poggi, 26 anni, che in quel periodo è sola in casa, dato che la sua famiglia è in vacanza.
Inizia così il mistero dell'estate del 2007, che per anni sarà al centro dell'attenzione. Un caso che si protrarrà per quasi due decenni, tra colpi di scena, assoluzioni, condanne e innumerevoli interrogativi. La vittima presenta il cranio fracassato da un «corpo contundente metallico» di origine misteriosa. Tuttavia, ha anche ferite sul volto, simili a quelle provocate da colpi di coltello, che i medici legali attribuiranno a forbici da sarto. Successivamente, una nuova perizia, emersa durante il processo d’appello, suggerirà che l’arma del delitto potrebbe essere stato un martello da carpentiere.
ALBERTO STASI
Alberto Stasi è un ragazzo riservato che i media soprannominano “il biondino dagli occhi di ghiaccio”. Un ventiquattrenne, studente della Bocconi, che cattura subito l’attenzione non solo dei giornalisti ma anche degli inquirenti, che da subito iniziano a sospettare di lui. Questo anche perché è emerso dalle indagini che la vittima non avrebbe lottato con l’assassino ma avrebbe aperto volontariamente la porta di casa, presupponendo così che conoscesse l’aggressore.
LA CONDANNA
Il 24 settembre 2007, Stasi viene arrestato su ordine della Procura di Vigevano. La mattina dell'omicidio, il giovane stava lavorando alla sua tesi di laurea a casa dei suoi genitori. Alcuni esami effettuati sul suo computer lo incastrano, poiché durante la finestra temporale in cui la ragazza è stata uccisa, non risultava essere impegnato nella stesura della tesi. Quattro giorni dopo, il giudice Giulia Pravon lo scarcera per insufficienza di prove anche se comunque la Procura di Vigevano rimane convinta della colpevolezza di Stasi. I pm chiedono e ottengono il rinvio a giudizio.
Nel 2009, il giudice Stefano Vitelli lo assolve. Si scopre che ci sono incongruenze sull’orario della morte e soprattutto che davvero Stasi quella mattina, nell’ora del delitto, stava lavorando alla tesi di laurea.
LE PERIZIE
Il caso di Alberto Stasi passa in appello a Milano, dove emergono nuove perizie e un'anticipazione sull'orario di morte di Chiara Poggi, che viene spostato poco dopo le 9 del mattino, contrariamente alla prima sentenza che indicava un orario più tardo. I consulenti della famiglia Poggi evidenziano un intervallo di 23 minuti in cui Stasi non stava lavorando al computer, periodo durante il quale Chiara potrebbe essere stata uccisa.
Nonostante le controversie tra avvocati e pm, il 6 dicembre 2011 Stasi viene assolto per insufficienza di prove. La procura ricorre in Cassazione, che il 13 aprile 2013 sorprendentemente annulla la sentenza e ordina un nuovo processo. Nuove perizie sui campioni di DNA e su un capello trovato tra le mani di Chiara vengono eseguite.
Nel secondo appello, il 17 dicembre 2014, Stasi viene condannato a 24 anni di prigione, poi ridotti a 16 per il rito abbreviato. L'accusa è di omicidio volontario, ma senza le aggravanti di crudeltà e premeditazione. Gli esami del DNA non permettono di stabilire con certezza se i campioni appartengano a Stasi, ma nemmeno di escluderlo. La condanna si basa anche su una "superperizia" che suggerisce che Stasi, dopo aver scoperto il corpo di Chiara, abbia avuto il tempo di pulire la scena del crimine e cambiarsi, inscenando un finto ritrovamento. Non emerge un movente chiaro, ma si parla di "un momento di rabbia".
I legali di Stasi impugnano la condanna in Cassazione, chiedendo l'assoluzione o un nuovo processo. La procura invece sollecita un inasprimento della pena, riconoscendo l'aggravante della crudeltà. Gli avvocati difensori evidenziano i dubbi sulla colpevolezza di Stasi, come già riconosciuti nella sentenza precedente della Cassazione.
LA CONDANNA A 16 ANNI
Il procuratore della Cassazione, Oscar Cedrangolo, sorprende i giudici chiedendo l'annullamento della sentenza, suggerendo un rinvio. Nella sua requisitoria, afferma che non è possibile determinare se Alberto Stasi sia colpevole o innocente, ma è possibile valutare la qualità della sentenza. Tuttavia, il 12 dicembre 2015, la Quinta sezione della Cassazione conferma la condanna di Stasi a 16 anni di reclusione, con sentenza definitiva. Poche ore dopo, Stasi si presenta spontaneamente al carcere di Bollate.
Nel 2016, i legali di Stasi cercano di riaprire il caso, ingaggiando un'agenzia di investigazione e il genetista Pasquale Linarello, che rivede la perizia e ritiene che il DNA raccolto, pur incompleto, escluda la presenza di Stasi e indichi tracce di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. Sempio, che aveva fornito un alibi solido, risulta essere stato in contatto telefonico con la famiglia Poggi nelle ore precedenti l’omicidio, suscitando nuovi sospetti. Nonostante ciò, la procura di Pavia, dopo aver ascoltato nuovamente il perito e Sempio, chiude rapidamente l'inchiesta senza disporre nuovi esami sul DNA, archiviando il caso.