Alpha di Julia Ducournau, da oggi nelle sale il film presentato in concorso al Festival di Cannes 2025: trama e recensione
Alpha di Julia Ducournau, da oggi nelle sale il film presentato in concorso al Festival di Cannes 2025: trama e recensione
18 settembre 2025, ore 09:00
È un racconto post-pandemico che si muove tra il dramma familiare e il body horror, in cui un virus trasforma lentamente le persone in pietra
Un corpo che diventa pietra, che lentamente si sgretola fino a diventare cenere. È da qui, da un'immagine pura, quasi primordiale che sembra nascere Alpha, il nuovo film di Julia Ducournau, nelle sale italiane da oggi dopo il debutto in concorso al Festival di Cannes 2025.
Un’opera che conferma la vocazione della regista francese per un cinema che non parte dalla parola ma dall’intuizione visiva, dal sogno, dal corpo. Un cinema che non si preoccupa di spiegare, ma di mostrare. E che nelle sue imperfezioni trova una forza rara, difficile da catalogare, impossibile da dimenticare.
Nel 2021 aveva già conquistato Cannes con Titane, un film folle, debordante, totalmente fuori dagli schemi. Con Alpha, Ducournau sceglie una via più contenuta, più intima, ma la forza visionaria del suo cinema resta intatta e, in alcuni momenti, ancora più incisiva.
ALPHA, LA TRAMA DEL FILM
La pellicola vede al centro della storia Alpha, una tredicenne inquieta che vive sola con sua madre che, di lavoro fa la dottoressa in una clinica specializzata.
La loro quotidianità è sconvolta quando la ragazza torna da una festa con un tatuaggio “fatto in casa”, una A rozzamente incisa sul braccio. Il timore che la bravata l’abbia portata a contrarre un pericoloso virus inizia ad aleggiare nelle loro vite proprio mentre a casa loro compare lo zio tossicodipendente di Alpha (un maestoso Tahar Rahim).
ALPHA, LA RECENSIONE DEL FILM
È come se Julia Ducournau avesse prima sognato le immagini, come se alcune visioni le fossero venute incontro nel sonno, prima ancora che una sceneggiatura le desse ordine o senso. Questo è un film che nasce proprio dalle immagini, che affida alla forma e alla suggestione visiva la sua essenza più pura, trovando proprio in questo aspetto la sua forza.
È cinema che non spiega, ma che mostra, che si lascia travolgere da un'estetica che a tratti pare dominare la narrazione, anziché il contrario. Man mano che il film procede, si ha la sensazione che la storia vada un po’ oltre le intenzioni iniziali dell’autrice.
La narrazione deraglia con un certo fascino, come se l’autrice l’avesse lasciata correre liberamente, forse più del previsto.
È un racconto post-pandemico che si muove tra il dramma familiare e il body horror, in cui un virus trasforma lentamente le persone in pietra, fino a sgretolarle. È un’idea tanto potente quanto poetica, una metafora tangibile del lutto, dell’elaborazione del trauma, della perdita che immobilizza. Ma il film, volutamente, non si preoccupa di costruire un contesto rigoroso. Non ci dice da dove venga questo virus, né tenta di razionalizzarlo.
Alpha sceglie invece di restare vicino al nucleo emotivo della vicenda: una famiglia sospesa in un tempo che si frantuma, in un mondo che si disgrega letteralmente sotto i loro occhi. Ci sono momenti in cui si avverte il caos narrativo, una certa perdita di controllo, ma non importa: Alpha è uno di quei film a cui si perdona tutto. Perché ci sono immagini così belle, così forti, che valgono più di mille spiegazioni.
E perché Ducournau, ancora una volta, ci ricorda che l’effetto speciale non è solo effetto, ma può diventare linguaggio, visione, emozione, racconto che si fa cinema nel senso più pieno. Rispetto alla furia dissacrante di Titane, Alpha è un passo indietro sul piano dell’eccesso, ma un passo avanti nella maturità dello sguardo. Julia Ducournau conferma di essere una regista capace di rinnovare il cinema di genere con una personalità cristallina e un immaginario che non somiglia a quello di nessun altro.
E se il film non è perfetto, è proprio in quella imperfezione che pulsa la sua anima più vera.



