Camminando tra i fiori scalzi, un viaggio introspettivo tra i campi della Provenza: il commento di Nicola Pesce al suo nuovo romanzo
Camminando tra i fiori scalzi, un viaggio introspettivo tra i campi della Provenza: il commento di Nicola Pesce al suo nuovo romanzo Photo Credit: "Camminando tra i fiori scalzi" di Nicola Pesce, Mondadori
15 novembre 2025, ore 09:00
L’autore de “La volpe che amava i libri”, “Il sapore dell’albicocco” e “La biblioteca dei libri dimenticati” torna sugli scaffali con un nuovo racconto dalla forte componente emotiva
Il fine settimana, sulle pagine online di RTL 102.5, vede grande protagonista il mondo dei libri e dell’editoria. È in questo specifico spazio che facciamo infatti un giro tra gli scaffali delle librerie, con lo sguardo che si sposta tra le novità di recente apparizione sulla scena.
Una disamina che trova la sua massima espressione nella rubrica domenicale dedicata ai libri da leggere della settimana, in cui recentemente hanno trovato spazio lavori come “Le meraviglie del minimarket di Cheongpa”, “La donna della cabina numero 10”, “Prova a uccidermi” e “Sul mio cadavere”, o ancora “L’oscura follia”, “La memoria del giglio”, “Le frasi rubate” e “Sottobosco”.
Il sabato la lente d’ingrandimento aumenta il suo zoom, permettendoci di andare a fondo delle storie grazie al contributo degli autori e delle autrice che a quei titoli ci hanno lavorato. Come nel caso, la settimana scorsa, di Laura Pariani con il suo “Primamà”. O come con Raffaella Case, due settimane fa, e il suo “Una testa piena di ricci”. Oggi i riflettori sono tutti per Nicola Pesce, che dopo “La biblioteca dei libri dimenticati” torna sugli scaffali con un nuovo lavoro, edito da Mondadori, che si intitola “Camminando tra i fiori scalzi”.
CAMMINANDO TRA I FIORI SCALZI, UNA STORIA FORTEMENTE INTROSPETTIVA
Ciao Nicola, e ben trovato. Come sempre lascio a te l'onore delle presentazioni: cosa troviamo in "Camminando tra i fiori scalzi"?
“Dentro questo romanzo trovate me. Trovate tutte le mie fragilità messe a nudo. Magari non interesserà, mi rendo conto. Però posso dire che scrivendolo mi sono fatto del male. Più di quanto avrei immaginato e più di quanto avrei voluto. E dopo sono stato meglio. Pare che un osso che si spezza poi risani in quel punto più forte di prima. E scrivere questo libro è stato come rompermi un osso.
Dentro vi troviamo tanti interrogativi che mi hanno sempre ferito. Perché mio padre si comportava così con me? Perché il mondo è stato così cattivo? Perché amare mi ha fatto tanto male? Tutte le pagine di Camminando tra i fiori scalzi sono solo una lotta per trovare queste risposte. Ma ovviamente non parlo di me. Parlo del piccolo André, e di Amaranta, e di come vanno a vivere in una baita nella neve, rinunciando al mondo. Di come vanno a scaldarsi col fuoco di una stufetta a legna, a mangiare formaggi e salumi, a osservare il bosco e il ruscello dalla finestra, a incontrare un lupo nel folto della notte.”
Come mai la scelta di questo titolo?
“Il titolo iniziale dell'opera era “Fiori scalzi”. Solo questo. Mi venne in mente così, senza altri indizi, mentre facevo una passeggiata con la donna che amo. Credo che l'ispirazione funzioni così. Non si sa da dove arriva, è come accadesse indipendentemente da noi. E credo che il titolo volesse dire che noi esseri umani siamo terribilmente fragili. E i fiori, in questa idea, siamo noi. E ho aggiunto "scalzi", ripensando a tutte le volte che di notte mi sono alzato dal letto e il mignolo del mio piede è stato benedetto dall'angolo di un comodino.
Poi però, sempre al di là della mia decisionalità, è comparso il personaggio di Amaranta, che significa più o meno «che non sfiorisce». Anche questa etimologia l'ho scoperta in seguito. E c'è una scena terribile, nel libro, in cui il protagonista, André, torna da solo alla baita e vede un calzino di lei, bianco bianco, ad asciugare su una sedia di fronte alla stufa. In qualche modo, insomma, senza volerlo ho davvero parlato di fiori scalzi.”
Il set delle vicende è la Francia, nella fattispecie la Provenza. Come mai hai deciso proprio per questi luoghi?
“Non saprei: una sera ho cominciato a fantasticare su questa vicenda. Nella mia testa c'era come un film, un vecchio Jean Reno, burbero, scostante, rude, che si trovava un nipotino all'improvviso, come un gattino indifeso. E così, avendo immaginato l'attore, mi è venuta in mente la Francia. Talvolta scrivo di posti che conosco a menadito, dove so cosa incontrerei se svoltassi l'angolo. Ma la Francia la conosco molto poco. Mi andava di immaginare campi profumati di lavanda, mentre scrivevo, e un freddo e sprezzante Jean Reno che si addolciva nel corso delle pagine.
Tutto questo è molto inusuale per me, perché scrivo romanzi per scrivere romanzi, ossia non penso mai a un film. Certe volte addirittura mi sforza di scriverli in modo non cinematografico, ossia allontanandomi dalle immagini e prediligendo i pensieri, i ricordi, i profumi. Questa volta è andata così l'ispirazione, se così si può chiamare quella cosa che spinge un tizio a sedersi a una sedia a scrivere la sera dopo cena.”
UNA STORIA CRESCIUTA IN MANIERA SPONTANEA
La storia permette di apprezzare le situazioni dai differenti punti di vista dei personaggi. Avevi in mente un pubblico preciso a cui rivolgerti mentre scrivevi?
“Credo che uno scrittore non dovrebbe prefiggersi un pubblico quando scrive. Secondo me dovrebbe scrivere per sé stesso. È un po' come quando c'è un bellissimo film cult amato da tutti e poi cercano di farne il sequel e si rivela uno spiacevole e imbarazzante disastro che delude tutti. Il film cult è l'ispirazione iniziale, libera, pura, il sequel è cercare di pensare a cosa piacerà al pubblico. Me ne tengo alla larga!
Io in verità non riesco a pensare nemmeno a me. Non sapevo che libro sarebbe stato, non sapevo chi fosse quel bambino che all'improvviso va a vivere con il vecchio nonno. Non sapevo che ci sarebbe stata una storia d'amore. Quando l'ho finito sono persino andato un po' nel panico. L'ho riletto (anche per scoprire che cosa avessi scritto) e mi son detto: e ora chi diavolo lo leggerà? Per fortuna Mondadori si fida di me ad occhi chiusi ormai da anni e il pubblico ha subito accolto benissimo il romanzo!”
A proposito di scrittura, in apertura del libro è evidenziato come la storia abbia preso forma praticamente in poco più di quaranta giorni. È la prima volta che ti capita? E poi, avevi già tutto in mente e hai dovuto soltanto metterla nero su bianco oppure è cresciuta via via scrivendo?
“Quando inizio a scrivere... non ho alcuna idea di quello che scriverò. Non me ne vanto e non so se è un bene o un male. Ho provato a fare delle scalette su un foglio a quadretti ma non sono in grado di rispettarle. Forse il vino, forse la penna, forse il quaderno vecchio e logoro, chi lo sa, prendono completamente il potere e certe volte mi sento più un lettore che uno scrittore. Non so mai quale sarà la frase che seguirà, e il più delle volte mi spiazzano e mi feriscono, scoprendo cose di me che non mi ero confessato. Così, tutti i miei libri appaiono su carta in pochissimi giorni. Ripeto: non ne faccio un vanto. Io mi siedo e la penna come la puntina di un giradischi comincia a sporcare la carta senza fermarsi mai, fino a che mi fa male la mano. Un'ora, un capitolo. Un mese, un romanzo.”
Se questo libro fosse una canzone, quale sarebbe?
“C'è una canzone un po' antiquata, che in questo libro il "vecchio" canta sempre. In realtà è una strofa sola. E si domanda, cantandola, chi sarebbe andato con lui sui monti. Il nipotino, ascoltandogliela cantare mille volte, comincia a detestarla! Finché un giorno proprio lui si ritrova sui monti, con la donna che ama. E nella baita isolata trova un vecchio vinile. È la canzone che cantava sempre il nonno.”
C'è già qualche nuovo progetto a cui stai lavorando - o che magari è in fase di rifinitura - e di cui si può già parlare?
Confesso che per me scrivere è una attività quotidiana necessaria come bere o mangiare. Se non scrivo non sto bene, divento triste e agitato, comincio a mettere peso, a curarmi poco e mi deprimo. Così ho deciso di scrivere tutte le sere, dopo cena, aiutato da un buon bicchiere.
Ho appena finito il terzo romanzo nel cassetto di genere thriller, se così si può dire. C'è un personaggio che mi ha catturato l'anima e che mi parla continuamente, un uomo che non ho capito ancora se è molto cattivo o molto buono. E così un romanzo ogni due parla di lui. Il mio sogno è mettere in fila una decina di romanzi su questo personaggio thriller e affidarli a una casa editrice che se ne prenda cura.



