Festa del Cinema di Roma 2025, Gli occhi degli altri di Andrea De Sica: trama e recensione del film in Concorso
Festa del Cinema di Roma 2025, Gli occhi degli altri di Andrea De Sica: trama e recensione del film in Concorso
19 ottobre 2025, ore 08:00
Il cineasta filma un dramma sensuale e imperfetto, costruito per evocare più che per raccontare
Alla Festa del Cinema di Roma, Andrea De Sica presenta Gli occhi degli altri, un film che conferma il suo talento visivo e la sua ambizione stilistica. Affronta una vicenda realmente accaduta, quella del marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, che nel 1970 uccise la moglie e l’amante, trasformandola in un dramma erotico di tono gotico e barocco.
GLI OCCHI DEGLI ALTRI, LA TRAMA
Su un’isola remota, dove il lusso si mescola alla natura selvaggia e l’eccesso è legge, un marchese stanco di tutto ospita un gioco pericoloso. L’arrivo di Elena (Jasmine Trinca), misteriosa e magnetica, incendia un mondo fatto di segreti e provocazioni. Tra maschere, desideri esibiti e sguardi che feriscono più di qualsiasi parola, nasce una passione che si nutre di potere e trasgressione. Ogni gesto diventa sfida, ogni carezza un test di dominio. Ma quando la finzione supera il confine della realtà, l’incanto si spezza. L’amore si contorce in una spirale di controllo e paura, fino a esplodere in una tragedia inevitabile, dove nessuno è più spettatore e tutti diventano vittime del proprio desiderio.
GLI OCCHI DEGLI ALTRI, LA RECENSIONE
De Sica scava sotto la superficie dorata e scopre il marcio: il potere e il possesso come veleno che corrode il desiderio, l’amore che si deforma in mania, in rancore, in violenza. E il maschile, con tutte le sue maschere di eleganza, viene smascherato: ciò che resta è un impulso primitivo, una fame cieca che distrugge tutto ciò che tocca. Il marchese di Filippo Timi non è un mostro, ma un uomo frantumato, e proprio per questo spaventoso. Dietro le maniere perfette, dietro la sua idea di libertà e morale “moderna”, si nasconde il vuoto. Quando il dolore lo travolge, gli rimane solo il linguaggio della brutalità, quello che conosce meglio. E De Sica non lo assolve mai, ma lo osserva da vicino, fino a farci provare disgusto e pietà nello stesso momento. Jasmine Trinca gli tiene testa con una forza calibrata: mai sopra le righe, mai compiacente. I loro corpi, i loro volti, diventano parte dello stesso paesaggio febbrile in cui si muovono: la villa, le armi, gli animali imbalsamati, ogni oggetto brilla come se fosse complice della loro decadenza. Gli anni Sessanta che De Sica ricostruisce sono un mondo che implode, una società “alta” che si sbriciola senza nemmeno accorgersene. Il regista filma con mano sicura, come se partisse da un foglio bianco da riempire di immagini eleganti e ipnotiche. La costruzione visiva è ricercata, il gusto per la composizione raffinato, ogni inquadratura sembra studiata per lasciare una traccia .Il sesso, finalmente, è mostrato con intensità e misura, senza pruriti né compiacimento, anche se talvolta scivola verso l’estetizzazione. Un cinema di maniera, costruito per evocare più che per raccontare, ma attraversato da atmosfere potenti, da un gusto visivo che guarda con eleganza al passato. De Sica mostra come l’amore, il potere, la libertà e persino la civiltà si fondino sulla stessa ossessione di controllo, e su quanto siamo pronti a distruggere pur di non ammettere la nostra fragilità. In questo, il film non è solo un dramma privato ma un gesto politico: ci costringe a guardare nel punto cieco della nostra cultura, quello in cui il desiderio smette di essere un legame e diventa una forma di dominio.



