Italia-Brasile, la partita che trasformò Paolo Rossi in un mito senza tempo, l'eroe italiano e l'incubo brasiliano

Italia-Brasile, la partita che trasformò Paolo Rossi in un mito senza tempo, l'eroe italiano e l'incubo brasiliano

Italia-Brasile, la partita che trasformò Paolo Rossi in un mito senza tempo, l'eroe italiano e l'incubo brasiliano


Quel 5 luglio 1982, nel pomeriggio infuocato dello stadio Sarrià (che oggi non esiste più), Paolo Rossi aveva un appuntamento con il destino. Il suo e quello di tutto un paese

5 luglio 1982. Si gioca in un caldo infernale, nel piccolo catino dello stadio Sarrià di Barcellona. Piccolo, quasi minuscolo, se rapportato al monumentale Camp Nou, ma l’allora casa dell’Espanyol, seconda squadra della capitale catalana, era stata designata proprio per quel girone della seconda fase.

Girone impossibile

Nessuno, del resto, avrebbe potuto immaginare che vi sarebbe confluita così tanta storia e tutta insieme. Ci sono i campioni del mondo dell’Argentina, della nuova stella Diego Armando Maradona (che dirà dopo quel mondiale: “Nessuno ha perso più di me”. Si rifarà, eccome se si rifarà, quattro anni più tardi in Messico). C’è il Brasile, favorito come sempre, ma questa volta un po’ di più. La squadra è un insieme di talenti spaventosi, singolarmente considerati e anche come collettivo. Non giocano, ballano, scherzano con gli avversari, sono consapevoli di una superiorità tecnica che non può lasciare spazio al dubbio: alla fine dovranno vincere loro.

Vaso di coccio...

Infine, reduce da un girone eliminatorio imbarazzante o poco meno, l’Italia di Enzo Bearzot. È una squadra che piace solo al commissario tecnico e a pochissimi giornalisti che gli sono rimasti fedeli. Sono mesi che contro il ‘Vecio’ si è scatenata una critica ben oltre il livello di guardia. Completamente immemore, oltretutto, dello spettacolo offerto quattro anni prima in Argentina, quando l’Italia giocò di gran lunga il miglior calcio di quel mondiale. Solo una persona, forse, è più detestata di Bearzot: Paolo Rossi.

Il fantasma

Appare poco più di un fantasma, almeno nelle tre partite eliminatorie di Vigo. Pallido, smunto, costantemente fuori dal gioco e apparentemente privo di quella geniale rapacità sottoporta, che lo ha già trasformato in Pablito. Era stato il meraviglioso mondiale d’Argentina a battezzarlo così, per i 3 goal realizzati e la sensazione che il mondo fosse già suo. Il calcioscommesse del 1980 sembrò aver distrutto tutto, l’uomo e il campione. Paolo, però, aveva un amico di ferro, Enzo Bearzot. Un uomo che non sapeva solo di calcio, ma soprattutto di uomini.

La cronaca impossibile

Tornando al Sarrià, anche contro i campioni del mondo argentini, che abbiamo incredibilmente battuto per 2-1, non ha brillato. Anzi, ha sbagliato un goal che sembrava un gioco da ragazzi per uno come lui. Ora, però, ci aspettano proprio loro, i brasiliani. Non c’è storia, non può esserci storia. Si è detto che se avessimo giocato quella partita altre 10 volte l’avremmo persa 10 volte. Forse è vero. Come tutti i paradossi, servono a regalare ancora più forza alla realtà. Nel catino bollente del Sarrià, nulla andò come avrebbe dovuto. Una manciata di minuti e siamo già in vantaggio, soprattutto ha segnato proprio lui, il reietto. L’uomo del calcioscommesse, il relitto voluto solo dal ‘Vecio’. È spuntato come un rapace - è tornato, perché i rapaci calano sulla preda al momento giusto - sulla destra dell’area di rigore, incrociando di testa un cross dalla sinistra.

Il Brasile attacca...

1-0 e il Brasile non fa una piega, riprende a giocare come sempre e ricama un’azione assolutamente meravigliosa per Socrates. Ricordo ancora quello sbuffo beffardo di gesso, alle spalle di Dino Zoff. ‘È finita’, ci diciamo senza dover neanche parlare, incrociando i nostri occhi di giovanissimi tifosi. Il Brasile, però, ha il peggior nemico in casa: se stesso. Un appoggio laterale sconsiderato, troppo leggero, il rapace è ancora lì. Tre tocchi, botta di destro e 2-1. C’è un’istantanea di Waldir Peres, il portiere brasiliano: i suoi occhi seguono il pallone finire in rete. Lo sguardo è smarrito, incredulo, sullo sfondo Paolo Rossi. Ancora una volta, come se nulla fosse accaduto, il Brasile riprende a giocare, fino a quando Falcao, proprio lui, l’ottavo Re di Roma, indovina la traiettoria impossibile dal limite dell’area di rigore. È 2-2 e i nostri sguardi sono quelli di prima, rassegnati.

Mai dimenticare Pablito

Questa volta, siamo noi ad aver commesso un gravissimo errore: abbiamo dimenticato il rapace. È sempre lì, si aggira sul prato del Sarrià e non ha ancora finito il suo lavoro. Il terzo goal di Paolo Rossi e quello più alla Rossi di tutti. Un tiro porco, dopo una rimessa sbilenca, il pallone non può che arrivare a lui. Junior lo tiene perfettamente in gioco, tocco di destro e il Brasile va a casa. In realtà, non finì lì. Ci fu tempo anche per un 4-2 ingiustamente annullato all’Italia e per una meravigliosa parata di Dino Zoff, ad inchiodare sul prato il colpo di testa di Oscar.

Fra cronaca e mito

Questa è solo cronaca, però. Il mito si era già scolpito nella memoria, al terzo goal dell’uomo che avrebbe vissuto quarant’anni da incubo dei brasiliani. Il ‘Vecio’ aveva ragione, come sempre. Non gli avrebbe rivolto neppure un complimento, a fine partita. Non avevano bisogno di parlare. Loro, uomini d’altri tempi, uomini di un’altra categoria.


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