Giappone, la storia dell'88enne ex pugile assolto a distanza di 56 anni dalla condanna a morte

Giappone, la storia dell'88enne ex pugile assolto a distanza di 56 anni dalla condanna a morte

Giappone, la storia dell'88enne ex pugile assolto a distanza di 56 anni dalla condanna a morte Photo Credit: Pexels


Iwao Hakamata era accusato di quadruplice omicidio, oggi la svolta che potrebbe porre fine ad uno dei casi giudiziari più controversi

Iwao Hakamada ha trascorso 56 anni della sua vita da condannato, ma oggi, a 88 anni, è stato assolto. Si tratta dell'ex pugile che era stato condannato per l’omicidio del suo capo e di tre membri della sua famiglia. L’assassinio è avvenuto nel 1966, due anni più tardi le autorità hanno individuato in Hakamada il colpevole. Dal 2014 Hakamada, dipendente di un’azienda di riso, si trovava fuori dal carcere, in attesa della sentenza definitiva che è stata emessa oggi dalla Corte di Shizuoka al termine del processo di riesame.

L'arresto e la condanna di Hakamada

Il 30 giugno 1966 un incendio scoppiò nella casa di uno dei capi di Hakamada. All’interno dell’abitazione, la polizia ritrovò i corpi dell’uomo, della moglie e dei due figli, pugnalati a morte. Alla famiglia furono sottratti 20 mila yen in contanti. I sospetti ricaddero su Hakamada, il quale effettivamente confessò l’omicidio in un primo momento. Poi però spiegò di essere stato costretto a firmare il verbale di confessione con la tortura. La condanna alla pena di morte non è mai stata applicata nel corso dei 56 anni, con il verdetto al centro di molte discussioni in Giappone. Tanti i ricorsi presentati dai legali dell'ex pugile, condannato da cinque corti diverse.

I dubbi di uno dei casi più controversi della giustizia giapponese

Gli avvocati di Hakamada hanno considerato poco solide le prove raccolte a sostegno dell’accusa. Secondo i pm, le coltellate sarebbero state inferte con un coltello da frutta. In realtà, quella lama – è sempre stata la tesi della difesa – non avrebbe potuto reggere intatta al numero di coltellate con cui la famiglia è stata uccisa. Così, nonostante il passare degli anni, nessun ministro della Giustizia giapponese ha mai firmato il decreto di condanna a morte, evidentemente consapevoli dell'ambiguità delle accuse. Oggi il colpo di scena che potrebbe mettere fine a uno dei casi giudiziari più controversi in Giappone. Il condizionale è d'obbligo, considera la possibilità che i pubblici ministeri facciano nuovamente ricorso. Secondo l'avvocato Teppei Kasai, responsabile di Human Rights Watch Asia, intervistato dalla agenza Afp, il caso di Hakamada è "solo uno degli innumerevoli esempi del sistema giapponese di 'giustizia degli ostaggi', che documenta come i sospetti di reato subiscono gravi abusi in custodia preventiva con intimidazioni durante gli interrogatori". Il Giappone è l'unica grande democrazia industrializzata, oltre agli Stati Uniti, ad applicare la pena capitale, una politica che gode di un ampio sostegno pubblico.

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