Killers of the flower moon. Scorsese racconta il lato oscuro dell’America, con il massimo dell’arte cinematografica

Killers of the flower moon. Scorsese racconta il lato oscuro dell’America, con il massimo dell’arte cinematografica

Killers of the flower moon. Scorsese racconta il lato oscuro dell’America, con il massimo dell’arte cinematografica Photo Credit: Agenzia Fotogramma.it


Ispirato al romanzo omonimo di David Grann, il film segna la sesta collaborazione tra Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio, e la decima tra il regista e Robert De Niro​

Scorsese nacque per cambiare il cinema americano. Era presente infatti tra le fila degli autori di quella stagione passata alla storia come New Hollywood, un momento cruciale che contribuì a rivitalizzare i film con tematiche diverse, attenti agli stravolgimenti sociali e culturali di allora e realizzati con una nuova estetica che sembrava guardare più al cinema europeo che non alle glorie di quello americano classico. Oggi però, dopo una carriera gloriosa, costellata di grandi capolavori che hanno segnato l'immaginario, il cineasta cambia atteggiamento nei confronti del mezzo cinematografico. Non ha più voglia di cambiare le regole del gioco ma al contrario, insoddisfatto della piega che certo cinema nordamericano avrebbe preso e della deriva dei cinefumetti (a detta sua privi di anima), Scorsese si comporta come un conservatore, andando a creare un affresco cinematografico di altri tempi. È uscito nelle sale Killers of the flower moon, presentato fuori concorso all'ultima edizione del Festival del cinema di Cannes

LA TRAMA DEL FILM

Tratto dall'omonimo romanzo di David Grann, è incentrato su quanto accaduto in Oklahoma, nella contea di Osage agli inizi degli anni Venti del Novecento.

In quel periodo sono stati scoperti nella zona diversi giacimenti di petrolio, permettendo a diversi membri della tribù indiana di arricchirsi molto. Questo nuovo stato di benessere dei nativi americani catturò l'attenzione di moltissimi bianchi, che desiderosi di far soldi con il petrolio, iniziarono a manipolare, estorcere e sottrarre con l'inganno i beni degli Osage. Parallelamente al loro arrivo in zona si sono verificati una serie di omicidi, aventi come vittime proprio alcuni cittadini facoltosi della tribù.

Essendo i morti tutti proprietari di territori in cui è stata rinvenuta la presenza del bramato "oro nero", l'FBI decide di aprire un'indagine sui decessi sospetti. Il ranger Tom White (Jesse Plemons) viene incaricato di indagare sul caso e scovare il killer autore di tutti questi omicidi. Nelle indagini interviene anche Ernest Burkhart (Leonardo Dicaprio), giovane reduce della Grande Guerra, sposato con l'indiana Mollie (Lily Gladstone).


IL TRADIMENTO COME ATTO FONDATIVO

Un trionfo di tutto ciò che può essere creato con l'arte cinematografica. Un mosaico tragico ed epico, dove sfruttati e sfruttatori vengono analizzati all'interno di quello che a prima vista potrebbe essere definito il primo Western movie di Scorsese. E invece Killers of the flower moon è molto di più. Rifiuta le etichette e addirittura sembra imporsi per non assomigliare alla classica pellicola Scorsesiana. Lo diventerà nel corso del film, forse, ma mai in maniera troppo netta. Siamo di fronte ad una pellicola che racconta, per usare le parole di Francesco Ceraolo, il tradimento come atto fondativo dell'America e (forse) del cinema odierno. Un tema che in maniera diversa, il regista aveva tentato di raccontare anche nel suo precedente The Irishman.

In Killers of the flower moon Di Caprio e De Niro fanno a gara a chi è più bravo, sfidandosi a vicenda e alzando di volta in volta l'asticella. Il primo si sforza un pò di più, con un'espressione ingrugnita che nel corso del film perderà volutamente. Al secondo, invece, basta poco per rubare la scena a tutti: un sorriso beffardo, uno sguardo deciso ed è subito Robert De Niro. Da non trascurare l'interpretazione della Gladstone che, forse in odore di Oscar, mette in scena lo strazio di una donna a cui tolgono tutto, anche la dignità. Un'opera in piena regola, strabordante ma vitale. Una narrazione distesa e implacabile, cadenzata e inesorabile, che ripercorre la nascita di una nazione sporcata dal sangue e contaminata dal denaro.

E dopo quasi 3 ore e mezzo, Scorsese ci regala la chicca finale, il vero lampo di genio. Come a ringraziare lo spettatore per averlo seguito fino alla fine, tira fuori dal cilindro una conclusione metatestuale e totalmente svincolata dalle logiche del racconto messe in scena fino a quel momento. Ci mette letteralmente la faccia e chiude la pellicola guardando in macchina, rivolgendosi direttamente a noi che non possiamo non sobbalzare dalla sedia, ringraziando uno degli ultimi maestri che sembra non tramontare mai.



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