A Barcellona demoliscono il Camp Nou per costruire un nuovo stadio; addio a un tempio laico

A Barcellona demoliscono il Camp Nou per costruire un nuovo stadio; addio a un tempio laico

A Barcellona demoliscono il Camp Nou per costruire un nuovo stadio; addio a un tempio laico


Il mastodontico impianto ha visto le gesta del Barcellona, ma anche finali di Champions e partite del Mondiale. Tanti ricordi anche per le squadre italiane. Lì nascerà un nuovo impianto, intanto per un anno i blaugrana si trasferiscono allo stadio sul Montjuic, quello delle Olimpiadi 1992

DEMOLIZIONE DI UN MITO

A Barcellona sono in corso i lavori di demolizione del Camp Nou. Sulle macerie del glorioso stadio inaugurato nel 1960, sorgerà il nuovo impianto: sarà bello, moderno e sostenibile. La logica suggerisce che sia giusto così, il mondo va avanti; ma chi ha avuto la fortuna di vivere almeno una partita nella tana del Barça, vedendo quelle gru rosse che stanno distruggendo un vero tempio laico, non può non provare un po’ di dispiacere e malinconia.

UN TEMPIO LAICO

Come il Santiago Bernabeu a Madrid, anche il Camp Nou sorge in città, nel quartiere di Les Corts, una via di mezzo tra il centro e la periferia. E’ circondato da case, negozi, scuole, alberghi, ristoranti. Niente a che vedere con le cattedrali nel deserto dei sobborghi di altre città d’Europa. Prima e dopo la partita a Barcellona c’era vita. Lo stadio esteticamente non era bellissimo, un gigante in cemento armato: mastodontico, non elegante. Solo la tribuna centrale aveva la copertura, tre quarti dello stadio era scoperto. Ma sulla tribuna di fronte a quella centrale spiccava la gigantesca scritta: “Mes que un club”, in catalano significa: “più che un semplice club”. Il Barcellona in effetti è una religione, e il Camp Nou è il suo tempio.

UN IMPIANTO CHE METTE SOGGEZIONE

In questo stadio ho visto e raccontato alla radio più di venti partite. Quando alla vigilia si seguiva dal campo l’allenamento di rifinitura, lo sguardo si alzava fino all’ultima fila delle tribune: una montagna di cui quasi non si vedeva la vetta, un muro che metteva soggezione, già quando gli spalti erano deserti. Immaginate quando su quei seggiolini sedevano centomila persone. Un’arma in più per un Barcellona spesso fortissimo già di suo. Il giorno della gara a mezzora dall’inizio gli spalti erano semivuoti, poi come d’incanto in pochi minuti si riempiva senza nemmeno un posto vuoto.

LE POSTAZIONI RADIOFONICHE, QUASI IN CIELO

Le cabina riservate alle radio erano nella parte alta, anzi altissima, della tribuna centrale. Piuttosto defilate rispetto alla linea di centrocampo, spostate all’altezza dell’area di rigore a sinistra. Il campo era lontano, laggiù in basso, ma si vedeva comunque bene, c’era una bella prospettiva. Affacciandosi dalla parte posteriore, verso l’esterno si scorgeva una bella fetta di città: dal Tibidabo (la collina che sovrasta Barcellona) fino al mare. In quello stadio ci è capitato di seguire tante volte le partite di Champions del Barcellona contro varie squadre italiane. Il protagonista assoluto di quel team da favola è stato Leo Messi: quando partiva palla al piede i centomila dello stadio ammutolivano e l’impianto vibrava di eccitazione e curiosità, ansioso di sapere cosa si sarebbe inventato il campione. E per gli avversari il silenzio era sintomo di rispettosa paura.


UNA STORIA ANCHE ITALIANA

Dal Camp Nou usciva quasi sempre con le ossa rotte. Quasi: a tredici anni di distanza conserviamo un nitido ricordo della semifinale contro l’Inter nella Champions 2010, quando i nerazzurri arrivarono in finale e poi vinsero il Triplete, nella memoria è impressa la corsa di Mourinho verso lo spicchio di stadio– in alto a destra-dove erano stipati i tifosi interisti. In questo stadio Paolo Rossi segnò una doppietta alla Polonia nella semifinale del Mondiale del 1982, anche se l’epopea mundial dell’Italia è ambientata soprattutto in un altro stadio di Barcellona: il piccolo Sarrià, che peraltro sorgeva solo a un paio di chilometri di distanza e che è stato abbattuto già anni fa (ora al suo posto c’è un parcheggio…). Qui il Milan nel 1989 ha vinto la prima Coppa dei Campioni targata Arrigo Sacchi, quando i rossoneri rifilarono quattro gol ai malcapitati dello Steaua Bucarest. Stanno abbattendo un pezzo di storia. Anche nostra.



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